"E' lui tuo figlio?". Campetto in terra e dribbling nella polvere. "Come juega, fenómeno!" Arbúcies, scatti e sorrisi in Catalogna. "Quello piccolino, sì...". Papà attaccato alla rete, un vecchietto al suo fianco stupito dalle qualità del chico. Poi la sentenza: "Compragli delle scarpe, grazie al calcio viaggerà molto". E infine se ne va profetico. Aveva ragione. Perché quel "rebelde" si chiamava Keita e oggi gioca in Serie A. Scatta, dribbla e segna ancora, fino alla prima tripletta con la maglia della Lazio, la più veloce della storia della competizione nel 6-2 contro il Palermo (doppietta di Immobile, poi primo gol di Crecco in Serie A). Curioso, no? Oltre ogni scout, quel "vecchietto" lì ci aveva visto lungo: "Non dimenticherò mai quelle parole”.
Serie A, dicevamo. E la Lazio. Finalmente protagonista dopo un difficile inizio di stagione. Titolare col Palermo e via, gol. Tripletta. E siamo a 11, prima volta in doppia cifra. In panchina, poi, l'amico Patric. L’uomo spogliatoio che forse non t’aspetti, abbracciato da Keita in occasione del vantaggio. Amici per la pelle i due: "E' un grande giocatore che non molla mai, ci conosciamo fin da piccoli e continuiamo a fare strada insieme". In aereo? Cuffiette, musica e foto su Instagram piazzata lì. Vacanza a Barcellona per festeggiare il compleanno del terzino. Friendship. Come con Felipe Anderson, pillole di un'amicizia che non conosce scelte tattiche. Perché i due, prima, erano i protagonisti di una staffetta "made in Pioli". Mai rivali però, inseparabili. Qualche dubbio sui gusti musicali in comune eh: strumentale per Felipe, quella che parte piano piano e poi si sviluppa. Un po' come lui. Volendo anche un po' di gospel e canzoni brasiliane. Per Keita, invece, solo reggaeton, tra guizzi imprevedibili, videoclip con Flo-Rida e ritmica veloce. Specchio del suo gioco. Oggi funzionale "all’Inzaghismo" militante. In principio fu un rebelde, cacciato via dal Barcellona per aver messo del ghiaccio nel letto di un compagno.
"Forever young" degli Alphaville, azzeccatissima. Responsabilidad, etica, disciplina. I dettami della Masia che il giovane Keita provava a dribblare di soppiatto. Non si scherza però, niente "bromas". E allora via, un anno al Cornellà per pagare dazio. Furioso come l'Orlando, Keita infila 47 gol ma perde il treno blaugrana. "Rientro? Non se ne parla". Via alla Lazio, una foto rubata con Hernanes e bagaglio pronto. Poster di Samuel Eto'o sotto braccio, numeri di Ribery impressi nella mente. Con un occhio all'idolo Henry (la 14 è in onore del francese). Poi Bollini, la Primavera, gli esordi con Petkovic, le "bacchettate" di Reja, il ritorno al gol dopo 359 giorni, fino a Pioli e Simone Inzaghi. Uno che forse l’ha capito, compreso, stimolato. Indirizzato sulla giusta via. Anche se non è stato facile: prima i colloqui ad Auronzo faccia a faccia, i tentativi – riusciti – di farlo rimanere nonostante l'incognita-mercato; poi la questione contrattuale con gli occhi delle big (vedi il Milan, ma anche la Juve) e i comunicati di risposta. Le fughe, il finto infortunio (?) prima dell'Atalanta: “Keita? Sono basito dal suo comportamento”. Un rapporto ricucito col tempo e col lavoro. Coi gol. Entrando anche dalla panca per aiutare la squadra: “Spaccapartite”. Metamorfosi keitiana. Un percorso difficile e pieno di insidie. Alcune evitate, altre no (vedi la Lamborghini distrutta in un incidente o le tante panchine di fila). Ma sempre col sorriso e un dribbling... nella manica. Niente assi, solo numeri. E il mercato? Tra Watford e Monaco qualcuno ha provato a bussare, ma la Lazio ha mantenuto la porta chiusa. Doppia mandata, titolare al momento opportuno. Ora l'occasione d'oro per l'ex chico rebelde, alla prima tripletta in carriera con la Lazio. Infine un pensiero a quel viejo di anni fa. Il quale, zitto zitto, aveva previsto tutto. Tranne il reggaeton.