Redemption. E’ il titolo dell’autobiografia di Troy, ma forse anche della sua vita. Un’infanzia difficile, un’adolescenza piena di punti di domanda. Poi la luce, arrivata grazie a un pallone e una vita totalmente stravolta: “Sono grato che il calcio sia arrivato e mi abbia salvato” ci racconta. Salvato da una vita complicata per portarlo a essere una bandiera del Watford e un’icona recente del calcio inglese.
La nostra intervista a Troy Deeney
Siamo a Birmingham, nella periferia di Chelmsey Wood per essere precisi. Un posto in cui si cresce prima del previsto, in cui il futuro è offuscato da un presente che non lascia ben sperare: “Adesso la guardo con occhi differenti perché ovviamente sono più grande e penso che sia stato davvero difficile. Ma se la guardo con gli occhi che avevo da bambino è stato bellissimo, perché non conoscevo una vita differente: ci sono milioni di ragazzini che si trovano nella mia stessa situazione. Ho visto cose assurde e avendo ora dei figli non permetterei mai a loro di trovarsi in una situazione del genere” racconta Deeney ai nostri microfoni.
Troy, dopo aver lasciato scuola a 14 anni, inizia a lavorare. Il calcio, al momento, è solo un passatempo: “Facevo il muratore, ma non chiedermi di costruire qualcosa… Lo facevo per sopravvivere e basta: lavoravo per guadagnare qualche soldo e aiutare mia mamma, così come fanno milioni di persone. Sono grato che il calcio sia arrivato e mi abbia salvato”. La vita cambia a 16 anni, per puro caso: “La sera prima mi ero ubriacato, in Inghilterra è così: ci piace bere. Il giorno dopo mia mamma stava pulendo casa e sono dovuto uscire, così sono andato a giocare a calcio con i miei compagni di una squadra amatoriale: ho segnato qualche gol e a guardare la partita c’era il capo scout del Walsall, che era lì per suo figlio che giocava nell’altra squadra. Così mi ha offerto un’opportunità”.
Tre anni al Walsall (dal 2007 al 2010), conditi da gol e una personalità da grande giocatore. Poi, nel 2010, arriva la chiamata del Watford. Ma la stagione da cerchiare in rosso è quella 2012-2013: “Quell’anno è stato assurdo. A giugno sono andato in prigione e pensavo di aver rovinato la mia vita, a settembre poi è finito tutto e a maggio ho segnato quel gol: la mia vita è cambiata in qualche mese”. Il gol di cui Troy parla è quello segnato in un folle Watford-Leicester, semifinale dei playoff di Championship: ultimo minuto di recupero, con la squadra di Deeney avanti 2-1. Rigore per le Foxes, che in caso di gol avrebbero ottenuto il passaggio in finale (grazie all’1-0 dell’andata). Knockaert si fa ipnotizzare da Almunia, parte la ripartenza del Watford e Troy segna uno dei gol più iconici della storia recente del calcio inglese: “A prescindere dal mio gol, quella partita è stata pazzesca: c’erano giocatori come Vardy, Kane, Schmeichel. Due squadre che non si risparmiavano e volevano solo fare gol. Ancora oggi mi capita di guardarla e quando sento la telecronaca mi vergogno un po’. Mia figlia ora gioca nel Leicester: è divertente se si pensa a quel gol..”.
Undici anni nel Watford, fino al 2021. Una vita per quei colori, per la stessa gente che lo ha accolto da bambino e difeso nei momenti difficili: “Non ho rimpianti, credo che tutto sia andato come doveva andare. Avrei sicuramente potuto avere una carriera migliore, in club più importanti ma essere una bandiera del Watford per me è magnifico”.
A gennaio 2024, dopo una parentesi con la maglia del suo Birmingham, ha annunciato l’addio al calcio ma non allo sport. Deeney, adesso, è diventato un giocatore di biliardo: “Questa passione è nata perché sono cresciuto nei pub e nei locali in cui si gioca a snooker. Ho sempre guardato con curiosità questi hobby, come anche le freccette: dietro c’è una tecnica da imparare e una vera e propria arte”. Dal calcio al biliardo, dalle difficoltà nella periferia di Birmingham all’essere eroe del Watford: la redenzione firmata Troy Deeney.