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Data: 15/03/2019 -

Torino ritrova Mihajlovic: dalla suite d’albergo al cinema, un anno e mezzo di passione

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Può un anno e mezzo lasciare così tanto in una persona? E viceversa? Chiedere a Sinisa Mihajlovic per avere una risposta. E al Torino. Sabato sera all’Olimpico si gioca una partita doppia, forse tripla. C’è il Toro di Mazzarri che spinge per l’Europa, c’è il Bologna che pensa alla salvezza. E c’è lui, Sinisa, su cui gli occhi dell’Olimpico almeno una volta si poseranno. Perché in un anno e mezzo, Mihajlovic ha comunque lasciato il segno a Torino, raccogliendo un’eredità pesantissima come quella di Ventura e cercando di lasciare la sua impronta. Ci è riuscito a metà: c’è una parte di Torino che lo ricorda con affetto, una che invece lo applaudirà senza troppi rimpianti ma con una forma di rispetto come a ricambiare quello che lui aveva nei confronti della piazza.

Torino ha conosciuto il personaggio Mihajlovic in tutte le sue forme: burbero, duro, ma anche showman e divertente. Episodi ce ne sono tanti, i giocatori e i tifosi se li ricordano bene: in tv litigò con Ambrosini e Vialli, in campo fece una volta una sfuriata a Castellazzi (suo team manager) perché aveva sbagliato a segnare una cambio alla lavagna luminosa. Ma fu anche organizzatore di una conferenza stampa con magazzinieri e tifosi alla vigilia del suo primo derby, o protagonista di qualche diverbio con i giornalisti che ebbe un certo risalto nelle settimane successive.



Il suo ricordo c’è ancora, tanto che sono in molti a confrontare la sua gestione con quella attuale di Mazzarri che sta procedendo nel migliore dei modi. Con il Torino l’addio è stato burrascoso e non gli dispiacerebbe “vedermi faccia a faccia con Cairo”, ha dichiarato nella conferenza da allenatore con il Bologna, per chiarire alcune cose che non ha potuto fare prima. “Belotti? Quando non segna soffre, ci resto ancora male”. Voleva bene ai suoi giocatori e loro a lui: per i 48 anni decise di organizzare una cena di compleanno a cui partecipò tutta la squadra. Offrì per tutti.

Tanto rumoroso in campo, quanto silenzioso fuori. A Torino viveva in un albergo in centro, il Principi di Piemonte: una suite per un anno e mezzo l’ha ospitato dove una volta dormiva la Juventus. Si spostava poco o lo faceva senza farsi notare. Aveva un ristorante preferito, l’ “Osteria Papi” a Moncalieri. Il piatto preferito? Carne cruda e selvaggina. Normale, per un tipo sanguigno come lui.

Gli piaceva il cinema, cercava di partecipare ai festival quando riusciva (e a Torino ce ne sono di diversi), gli piacevano le mostre d’arte. La sensazione lasciata ai tifosi del Toro è di un senso di incompiutezza, più che incompletezza: la squadra non è mai riuscita a spiccare davvero il volo e il rapporto con la piazza si è più volte interrotto nel momento in cui sembrava poter scoppiare l’amore. Un passaggio breve ma non silenzioso. Per un personaggio che nel calcio ha spesso fatto parlare di sé.



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