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Data: 04/05/2016 -

Toh chi si rivede, riecco Ganso: sfiorò il Milan, ora è rinato grazie a Kakà e sogna l'Europa

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Quel ragazzino dello Stato del Pará aveva la corsa sgraziata di uno che doveva avere dei piedi delicati come il tronco di una quercia. Ecco perché uno dei magazzinieri del Santos, vedendolo affacciarsi alla prima squadra, cominciò a dargli del "Ganso". Era una delle tante "oche" vestite di bianco, i colori sociali del Santos, che alla fine avrebbero lasciato il calcio per dedicarsi a qualcos'altro. Nel caso di Paulo Henrique, quel "qualcos'altro" sarebbe stata la medicina. Il padre, dipendente di una nota compagnia petrolifera brasiliana, non aveva problemi economici. Lo avrebbe mandato a studiare all'Università, se Paulo Henrique non fosse riuscito a diventare un calciatore. Era più la madre, Dona Creuza, a spingere suo figlio verso il futebol. Quando i vicini cominciarono a lamentarsi dei rumori molesti provenienti dal cortile di casa sua, dove Paulo Henrique giocava continuamente con il suo pallone, Dona Creuza si incaricò di renderlo un piccolo campo da calcio. Qualche volta la palla volava via, e i vicini ne approfittavano per distruggerla. Dona Creuza, senza neanche che le venisse chiesto da Paulo Henrique, ne comprava una nuova. Le bastava che suo figlio portasse a casa la promozione a scuola senza difficoltà. In effetti, Paulo Henrique non ebbe mai problemi a superare brillantemente tutti gli ostacoli della formazione di un bambino molto impegnato, ad eccezione di un anno in cui dovette ricorrere all'esame di riparazione in una materia: educazione fisica... Paulo Henrique crebbe in EstrelaPaysandu e Tuna Luso. Le squadre della sua cittadina, Ananindeua. Dona Creuza era sempre presente, e aiutava i club a raccogliere denaro per le attività formative dei ragazzini organizzando cene, tombolate e feste in cui accumulare preziose donazioni. Quando arrivò la proposta del Santos, Paulo Henrique era timido ma sicuro dei suoi mezzi. Per questo a ogni gol segnato nelle giovanili si presentava da quel magazziniere urlandogli in faccia: "Chi sarebbe quindi l'oca? Io, vero?". Ci mise poco Ganso ad arrivare in prima squadra con Neymar e ad accendere il sogno di una nuova "dupla" micidiale di Meninos da Vila, i "bambini di Vila Belmiro", lo stadio del club che fu anche di Pelé. La coppia magica precedente era stata formata da Diego e Robinho. Ganso e Neymar andarono a prendersi la Copa Libertadores. Solo uno dei due si è preso anche l'Europa. Ganso, nonostante in passato sia stato accostato a grandi squadre, tra cui il Milan che, consigliato da Leonardo che stravedeva per lui, lo considerava l'erede di Kaká, non è diventato il fuoriclasse che sembrava poter sbocciare. Quattro operazioni alle ginocchia con i crociati in frantumi e qualche pesante infortunio muscolare causato proprio dalle difficoltà di recuperare la forma migliore dopo le rotture dei legamenti hanno contribuito a dar ragione, a lungo, a chi diceva di lui che era troppo lento e disincantato, supponente e indolente. Quando Mano Menezes lo escluse a tempo indeterminato dalle convocazioni della Seleção perché Ganso, a suo dire, aveva più paura di rifarsi male che voglia di giocare, sembrò che per lui fosse finita. Lo paragonarono a Pedrinho, talento del Vasco anni '90 perso negli almanacchi del calcio regionale brasiliano a causa dei tanti infortuni. Fu Kaká, nel 2014, a esaltare nuovamente il talento di Ganso, passato nel frattempo dal Santos al São Paulo, l'unico club disposto a spendere qualche milione per un giocatore che qualche dirigente dava per finito considerandolo con un ghigno un pacco spedito ai rivali. Insieme a Kaká Ganso imparò un nuovo modo di giocare, a un tocco, di prima, rinunciando al suo passo cadenzato e sgraziato e privilegiando le sue qualità innate di sensibilità al contatto con la palla. Ha rinforzato il suo fisico, ha lavorato sul gioco aereo che ora è un suo punto di forza e sugli inserimenti senza palla. E dopo aver condotto il São Paulo a un 4-0 straordinario contro i messicani del Toluca nell'andata degli ottavi di Copa Libertadores, ora il nome di Ganso, che si era nascosto sotto montagne di appunti, è tornato di moda tra gli osservatori europei. Il suo entourage lavora per portarlo finalmente a realizzare il desiderio di giocare fuori dal Brasile. Magari in Italia. E ora che è stato incluso nella lista dei preconvocati per la Copa América da Dunga, con il contratto in scadenza tra un anno e 27 anni da compiere, forse è arrivato il momento per mantenere le promesse di gloria che Ganso sembrava destinato a realizzare così come ha fatto il suo parceiro Neymar. Rosario Triolo @triolor www.facebook.com/romanzosudamericano


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