Tra calcio e società. Se si è leader, non si è mai banali. Il passato non si dimentica, soprattutto se è fatto di grandi trascorsi, grandi trofei, grandi squadre. Lilian Thuram sa che il calcio gli ha concesso molto ma non dimentica da dove è partito. E soprattutto chi lo ha fatto diventare grande. In Italia ha vestito le maglie di Parma e Juventus. Poi, dopo lo scandalo di Calciopoli, il passaggio al Barcellona. Quello del giovanissimo Leo Messi. "La prima volta che ho sentito parlare di lui? Ero alla Juve" racconta l'ex difensore a Marca. "I miei compagni erano andati a giocare il Gamper, io ero rimasto a Torino perché tornavo dalla Nazionale. Quando la squadra rientrò, tutti parlavano di questo ragazzino di 17 anni che si chiamava Messi e che era impossibile da fermare. Anni più tardi, quando sono passato al Barcellona, si vedeva che sarebbe arrivato molto in alto: era il migliore”.
La pulce è diventato un simbolo del calcio spagnolo. Esattamente come Ronaldo, avversario del Barcellona nel Real e ora proprio alla Juventus. "La Juve come tutti gli anni punta alla Champions. Lo dice la sua storia, il suo blasone. Ma con Cr7 quest'anno un po' di più". Oltre a tanti temi sportivi, l'intervista verte anche su due argomenti molto delicati: razzismo e omosessualità. "Il calcio è un riflesso della società in cui viviamo: cioè in un mondo maschilista. Ora per fortuna ci sono dei club che hanno le squadre femminili, è un messaggio potente e importante. Ed è per i motivi di prima che l'omosessualità non è accettata, anzi può addirittura essere considerata pericolosa. Non è un problema del calcio, ma sociale" continua.
Come sociale è quello del razzismo: "A Parigi, quando avevo nove anni, mi prendevano in giro perché ero nero. E da lì viene automaticamente fatto pensare che il nero valga meno del bianco. Anche questo è un grave motivo culturale: bisogna spiegare ai bambini che tutto questo non è naturale. Il calcio per fortuna accetta i giocatori di colore, ma la società fatica ad accettarlo".