Milan, fine di un'era. Berlusconi ha lasciato dopo più di 30 anni il club che ha portato a lungo in cima al mondo, lasciando il magone a molti dei protagonisti di quei trionfi. Tra questi sicuramente Mauro Tassotti, che attraverso le pagine del Corriere dello Sport ha raccontato la sua storia rossonera. Si parte dall'inizio, da quel lontano 1986...
"Ci sono state varie vicissitudini, si parlava quasi di fallimento perché non si trovava un compratore" - attacca Tassotti - "Poi spuntò il nome di Berlusconi: quando si presentò a Milanello ci cambiò il mondo. Ancora non lo conoscevamo come imprenditore, la vera popolarità la ottenne con l’acquisto del Milan. Facevamo fatica ad arrivare a metà classifica, era un periodo difficile. Lui ci disse che voleva far diventare il Milan la squadra più forte del mondo, noi ci guardavamo uno con l’altro ma eravamo poco convinti: alla fine ebbe ragione lui. Rivoluzionò completamente il mondo del calcio. Possiamo dire che esiste un pre e un post Berlusconi".
Il ricordo di Berlusconi: "Amava parlare individualmente dando suggerimenti. E’ un amante del calcio e ci capisce: voleva che andassimo tutti all’attacco, la sua squadra doveva essere protagonista. A me chiedeva molto di partecipare all’azione e spingermi all’attacco. Non ci ha mai fatto mancare nulla, è sempre stato molto disponibile e vicino a tutti anche nelle vicende extra calcio. Aveva la capacità di mettersi alla pari con tutti senza sentirsi su un piedistallo".
Sacchi? "Un innovatore, anche lui. Secondo me è stato scelto perché era in sintonia con il gruppo Berlusconi. Noi l’avevamo già affrontato in Coppa Italia quando allenava il Parma: aveva un gioco basato sulla sfrontatezza e l’aggressività". La Coppa dei Campioni del 1994, 4 a 0 al Barca di Cruijff e Romario: "E’ sicuramente una gratificazione alzarla da capitano, ma non è quello che fa la differenza. In quella partita noi partivamo sfavoriti anche a causa delle assenze di Baresi, Costacurta e Van Basten, ma il presidente Berlusconi non perse mai la fiducia. Era convinto che potevamo farcela, e piano piano anche noi iniziammo a convincerci. Tra l’altro, proprio quella sera Berlusconi ebbe la fiducia e iniziò il suo governo".
Tassotti, Baresi, Galli, Maldini, un muro insuperabile: "Non saprei dire se è la difesa più forte di sempre,perché sono parte in causa. Noi ragionavamo come fossimo una persona sola, quella era la nostra forza. Ci bastava uno sguardo per capirci, come se a leggere l’azione fosse una persona sola e non quattro. Per quello sbagliavamo poco. La fortuna è stata quella di aver giocato sempre insieme: Paolo, Billy e Filippo sono cresciuti tutti e tre insieme nelle giovanili del Milan, io conosco Baresi dai tempi della nazionale Juniores. Fu anche merito di Liedholm che ci fece giocare a zona".
Nel 1997, a 37 anni, Tassotti appese le scarpette al chiodo: "Mamma mia, un’emozione unica: mi venne un nodo alla gola e scese qualche lacrima. Tra l’altro giocai centrocampista centrale per la prima volta nella mia vita. Ma in realtà avevo deciso un anno prima di ritirarmi: avevo già fatto la partita d’addio e salutato tutti i compagni. Poi Berlusconi in sala stampa disse che avrebbe provato a convincermi a farmi continuare. E alla fine non ci mise molto. Mi disse “Anche se non giochi tutte le partire puoi ancora servire”. E così rimasi un altro anno, iniziando a studiare da allenatore e prendendo appunti".
Momenti speciali: "Sicuramente quella in cui abbiamo vinto la nostra prima Coppa Campioni e quella del primo scudetto di Berlusconi. Poi la Coppa Intercontinentale perché con quel successo siamo diventati campioni del mondo. Ma ai tempi nostri non c’era internet: giocavamo in Giappone e lì non c’eravamo accorti dell’importanza della partita, c’era un’atmosfera irreale: mi ricordo le trombette che entravano nella testa... Comunque, credo che il trofeo più importante sia la Coppa Campioni, perché è un percorso più lungo e difficile".
La tentazione Fiorentina durò solo il tempo di una telefonata: "L’estate in cui andò via Sacchi ho avuto una chiacchierata con l’allenatore della Fiorentina Lazzaroni. Ero rimasto fuori qualche partita e mi sentivo in discussione, ma alla fine non se ne fece nulla: ci fu solo una telefonata. Per me è stato impossibile allontanarmi dal Milan. Oggi a San Siro c’è un box legend dove ogni tanto ci vediamo per seguire le partite del Milan. Anche se non ci sentiamo spesso, siamo rimasti molto legati. Rimpianti? Ce ne sono molti. Ad esempio, la gomitata a Luis Enrique: un episodio che ha segnato la mia storia in Nazionale".