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Data: 19/04/2017 -

Tanti auguri Rivaldo: edonismo ed egoismo in un Extraterrestre con l’ossessione per il mancino

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Rasoiata, pennellata: stesso piede, modo di calciare diverso. San Siro incantato e con il fiato sospeso, occhi addosso ad una lunga ombra proiettata dai riflettori sul green carpet, con una maglia grigio-argento griffata Barça capace di risaltarne ancora di più il preziosismo estetico. Vítor Borba Ferreira, poco più di 15 anni fa e in uno spettacolare triplete contro il Milan, si presentava alla Scala del Calcio come una donna affascinante, bramata da tutti e finita sulle copertine delle più grandi rassegne internazionali: Francia '98, tra eleganza, illusione e delusione finale ed una Liga che, dopo 3 anni, era già pronta a considerarlo una delle bellezze più scintillanti della península ibérica.

Come se non bastasse, quella sera, Rivaldo indossava anche il gioiello più bello: un Pallone d'Oro, regalatogli da un grande amore chiamato futebol al termine di un 1999 intenso, culminato con una proposta di matrimonio con il calcio giunta dopo una convivenza difficile ma capace, in 45 anni di vita compiuti oggi, di portare in dono tante soddisfazioni. Dalle partite sui campi pieni di buche di Recife, in mezzo a povertà e ad una famiglia da 7 elementi nella quale vivere, al rischio di abbandonare una passione che ne avrebbe poi scandito e caratterizzato una vita intera, tra palleggi e conclusioni contro muri pericolanti (uno dei quali gli ha lasciato un ricordo di 16 punti di sutura su un piede) e la prematura scomparsa di papà Romildo, calciatore anche lui, investito tragicamente da un autobus quando Rivaldo, di anni, ne aveva solamente 17.

Un colpo troppo duro per poter andare avanti, la voglia di appendere sogni, scarpe e maglia del Paulistano al chiodo per andare a vendere bibite, panini e frutta sulle spiaggia: tra palco e realtà, la strada più razionale da seguire portava all'aiuto economico ad una famiglia in difficoltà. Eppure, tutti remavano dalla sua parte: "Non mollare, continua per la tua strada, fallo per noi e per papà". Papà, già: una molla troppo grande e troppo importante per non pensare di spiccare il volo. E allora via, cocciuti, guai a buttare e buttarsi via, tra un fisico tanto atipico ed un mancino che parla ed affascina.

Rivaldo comincia a credere nei propri mezzi, anche fin troppo. Narciso fissato nello specchiarsi continuamente, un atteggiamento che al Santa Cruz, uno dei suoi primi club, non piace per nulla. "Cambiare agenzia, prego". Spedito senza troppi rimpianti al Mogi Mirim, inizia ad abbinare la bellezza all'intelligenza calcistica: il Corinthians se ne accorge e lo preleva per una cifra irrisoria, trasformandosi nel trampolino di lancio per l'abito più bello, quello verdeoro, con tanto di debutto con gol.

È il 1994, e Vítor osserva il Brasile di Parreira alzare la Coppa del Mondo negli USA: un'impresa che gli riuscirà otto anni più tardi, trascinando la Seleçao in Corea e Giappone con 5 reti. Due stagioni al Palmeiras con Luxemburgo, per la definitiva consacrazione nazionale, poi il volo in Galizia, verso La Coruna. Il Depor gli regala la possibilità di sfilare in Europa, lui non se la lascia scappare: brasiliano troppo atipico, per poter giocare solo in Brasile. Tre mesi per ambientarsi, altri 9 per segnare 21 gol, stregare il Riazor e… il Barça, già: squadra in cui arriva per sostituire Ronaldo, diretto verso la sponda nerazzurra di Milano.

Maglia numero 10 e posto assicurato sulla trequarti, o all'occorrenza seconda punta. Altruismo? Relativo, molto relativo. E non badate troppo allo spettacolo: diretto e conciso, il suo modo di concepire O Futebol è questo. Non lo troverete presente nello spot Nike del '98, in cui alcuni membri della Seleçao si divertono a suon di numeri in aeroporto: se cercate lo show, provate a chiedere a chi l'ha visto giocare dal vivo. La bicicleta contro il Valencia, uno dei gol più belli mai visti al Camp Nou, 95 reti in 5 stagioni e doppio successo in Liga. Van Gaal, tuttavia, preferisce altre primedonne in blaugrana, e finisce per scaricarlo senza pietà al Milan.

Mancavano Champions e Mondiale nel palmares, no? Aggiungiamole pure, con il 2002 come anno di grazia tra Manchester e Yokohama: l'egoismo messo per un attimo da parte, tra presenze ingombranti come quelle di Rui Costa, Kakà e Ronaldo e tante panchine accettate, prezzo da pagare per arricchire la propria collezione.

La gamba inizia a cedere, la mente è appagata e sazia, le sue scarpe costantemente bianche trovano la porta solo 8 volte in Serie A. Quando l'Extraterrestre sbarca in Italia, vive una fase edonistica in calando: il nome affascina, le prestazioni in campo lo offuscano. Tre volte campione di Grecia con l'Olympiacos, un paio di aperitivi nel campionato uzbeko e angolano nel Bunyodkor e nel Kabuscorp. Poi il ritorno a casa, per chiudere al Mogi Mirim, dove tutto era iniziato, da calciatore e… proprietario. Salvo poi adeguarsi alle mode degli ultimi tempi: tra un selfie ed un altro, decidere di mettere in vendita il club su Instagram.

E ora? Vive seguendo il figlio, Rivaldinho, stellina del Mogi già capace di imitarlo a 17 anni: stop di petto e bicicleta nello stesso angolino, ma stavolta con il destro, calco del capolavoro decisivo contro il Valencia. Se hai preso da papà, in fondo, nulla è così complicato: giocare da trequartista e cercare più il gol rispetto all'assist, accarezzando il pallone e schiaffeggiandolo, senza pietà, quando vedi la porta. Questo era Vítor Borba Ferreira, in arte Rivaldo. Uno che ha nella radice del proprio nome l'ossessione del sinistro alla Rivelino, e nella desinenza… quelle quattro lettere che portano al collegamento con un altra estrela do futebol brasileiro: Ronaldo, il Fenomeno per eccellenza ed antonomasia rimpiazzato a Barcellona e con il quale ha deciso di eliminare ogni egoismo, correndo per due, per alzare al cielo la Coppa del Mondo.

Seduto in braccio alle tribune dello stadio intitolato a papà Romildo, Rivaldo si rilassa analizzando il replay delle proprie giocate, guidando sulla strada giusta il suo filho maravilha. E godendosi un Feliz 45esimo aniversário, conscio di quanto la sua bellezza calcistica sia stata capace di stregare tutti.



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