‘Io e te…come nelle favole!’. Sulle note del grande Vasco, una splendida melodia con la quale ben si potrebbe riassumere il legame tra Michele Mignani e Siena. Legame vero, autentico, fatto di sguardi, abbracci, saluti, parole. Legame che si estrinseca nella quotidianità, in giro per il centro della città o fuori dal campo di allenamento. Saluta tutti Mignani, abbraccia gli steward non appena scende dal pullman prima delle partite in casa. Perché troppo spesso ci dimentichiamo che il calcio è della gente e per la gente.
Chi è Michele Mignani? Una persona che si fa voler bene da tutti, che ovunque sia andato ha lasciato un ottimo ricordo. A Olbia, dopo l’esonero, coniarono addirittura un hashtag con tanto di comunicato degli ultras… #MignaniAllenatore. Perché i risultati passano, le vittorie – così come le sconfitte – arriva il giorno nel quale si cancellano, rimane l’uomo, rimangono i valori, rimane chi siamo veramente. E’ più breve il passo con il quale un fenomeno non viene più visto come tale che la strada inversa per diventarlo. Il talento è un dono: bello ma ‘pericoloso’. Per un chissà quale motivo può venir meno, può incrinarsi… e allora? Allora, per essere fenomeni bisogna essere prima di tutto uomini veri: umili, con i piedi a terra.
Incontriamo Mignani al tramonto, sul prato appena tagliato dell’Artemio Franchi. In alto, sulla tribuna vicino alla curva Robur, un piccolo gruppetto di tifosi storici, di quelli che non si perdono nemmeno un allenamento…di quelli che sicuramente avranno avuto il piacere di veder i fasti del Mignani giocatore. Lui alza il braccio, li saluta. Li conosce uno ad uno, “beh è anche vero che Siena è una città piccola e in fin dei conti ci si conosce un po’ tutti”. Dal Mar Ligure a Piazza del Campo, una scelta di vita… “Vivo a Siena da vent’anni. Mia moglie è di qui, i miei figli sono nati a Siena. La città è bellissima e soprattutto si coniuga perfettamente con il mio animo, fortemente improntato alla tranquillità. Siena è un punto di riferimento per me, non ci manca nulla”. Una simbiosi elegante e pacata. Un feeling a prima vista… “Il rapporto tra me e la gente di Siena è stato sempre leale e corretto. Io credo – racconta Mignani ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – che se una persona ce la mette tutta nel suo lavoro, il tifoso apprezza. Il calcio non è una scienza esatta, le partite si vincono o si perdono, l’importante è dare sempre il massimo. L’importante è rimanere con i piedi ben piantati a terra nelle vittorie e allo stesso tempo lavorare e soprattutto capire gli errori nelle sconfitte”.
Odia gli eccessi Mignani. Tranquillo, riflessivo, posato. Perché un leader non è quello che impone la sua parola usando un tono di voce più elevato di quello degli altri… è il contrario! Un leader è colui il quale non ha bisogno di parlare troppo per esprimere ciò che sia necessario fare, è colui che non alza quasi mai la voce. Si è leader nel lavoro non con la retorica. Si è leader nei fatti non con le parole. Mignani parla poco, quanto basta. E’ maniacale nel suo lavoro, deciso e determinato. E la squadra lo segue. Perché un leader lo segui spontaneamente, non hai bisogno di coazione alcuna. I risultati, non a caso, sono un simposio vincente di questa unione allenatore-squadra-società. Siena al primo posto nel girone A di Serie C con diciotto punti. Zero sconfitte, dieci gol fatti e appena quattro subiti in otto giornate. I numeri, nella loro fredda oggettività, non mentono mai. Non ammettono margine d’appello. A proposito di numeri… “Li conosco abbastanza bene, dai (sorride). Ho conseguito la maturità scientifica, poi ho anche provato a fare Giurisprudenza. Non sapevo come sarebbe andata con il calcio e così, su input della mia famiglia, mi sono iscritto all’università a Ferrara, essendo andato a giocare fuori Genova. In realtà il mio percorso universitario è stato brevissimo quindi non credo si possa parlare di avvocato mancato. Ho dato due esami, Storia delle dottrine economiche e un altro, forse sul diritto romano, poi è finita lì. Lo ammetto, non mi piaceva molto…”.
Meglio il calcio, il suo primo grande amore. E’ bello pensare che nella vita di ognuno di noi ci sia un sentiero, tracciato dal destino, che coniuga la realtà alle nostre ambizioni. Il resto, è chiaro, dipende da noi. Dipende da quell’essere uomini di cui sopra, dipende da una sana voluntas legata ad una altrettanto sana noluntas verso ciò che potrebbe sembrarci una scorciatoia e invece, alla lunga, finisce soltanto per farci inciampare. “Ho passato la mia infanzia a rompere le statuette di mamma con la pallina di gommapiuma. Correvo nel corridoio di casa con i parastinchi e facevo le partite da solo. La squadra, cioè io, vinceva quando la pallina non toccava mai le pareti. Poi l’album delle figurine, lo studio mnemonico di tutti i calciatori, andare allo stadio due ore prima a vedere la Samp…”.
Ecco la Samp, stagione ’90-’91. Diciotto anni, l’esordio in Serie A contro il Lecce, lo scudetto, un tourbillon di emozioni, il ritardo a scuola, quel ritorno ‘a casa’ che il destino gli ha sempre negato. Come un mosaico di colori che, all’improvviso, gli arrivano addosso e lo avvolgono. L’imprevedibilità della vita – nel bene o nel male – che da mattina a sera riesce a capovolgere tutto… “Probabilmente il giorno dopo la partita di Lecce avrei potuto anche appendere gli scarpini al chiodo (ride). Invece non ho avuto tempo, perché appena rientrati e con qualche mezz’ora di sonno, sono dovuto correre a scuola. Ricordo il mio arrivo in ritardo e i compagni che mi festeggiavano”.
Poi le promozioni con il Siena, di nuovo la Serie A, la fascia di capitano. Un prosimetro di emozioni e sentimenti veri, di ricordi indimenticabili, di legami autentici con i tifosi. “E ai momenti brutti sinceramente non ci penso. Infortuni e sconfitte fanno parte del gioco, tutto passa. Io mi accontento di quello che avviene, senza alcun tipo di invidia o di ‘ma se avessi avuto…’. Non mi manca nulla, io sto bene, la mia famiglia sta bene…basta questo!”.
Probabilmente se tutti noi parlassimo all’indicativo e non al condizionale, in giro ci sarebbe molta meno infelicità, molta meno depressione. Perché, in fondo, forse è proprio quell’aurea mediocritas oraziana a dar un senso alla nostra esistenza. E’ l’accontentarsi di ciò che si ha, è il tirar fuori il meglio da quello che abbiamo senza pensare a ciò che avremmo potuto avere, è il non guardare in casa del vicino. E’ quello “star bene, basta questo” di Michele Mignani un esempio illustre.
I giocatori lasciano lo stadio, cala il sole sui campanili di Siena, i tifosi svuotano la tribunetta. E, dopo un’ultima battuta sull’entusiasmo, sul sano furor calcistico ritrovato, lo dobbiamo salutare. “E’ merito dei ragazzi. Della disponibilità che mi danno, della voglia che mettono ogni giorno in allenamento. Questo inizio non ce lo aspettavamo e proprio perché non ce lo aspettavamo, oltre al fatto che mancano ancora trenta partite, non ha senso nient’altro che pensare alla prossima gara”. Studio, umiltà e lavoro. Ogni risultato, nel calcio come nella vita, passa dalla combinazione di questi tre fattori. Non è un teorema matematico, non è un’assiologica certezza. E’ un semplice teorema di vita.