Il suo nome, vuol dire “illustre combattente coraggioso”. Buono, sincero ma soprattutto umile, così si definisce Luis Maria Alfageme. Segni particolari? Maniaco della moda e dei vestiti. Si fa attendere l’argentino all’interno del Partenio-Lombardi, poi si palesa. Look impeccabile. Pronto per la Milano fashion week? “Macché c’è un obiettivo da raggiungere”. Inizia così il racconto di Luis Maria Alfageme in esclusiva per gianlucadimarzio.com. Una vita sulle montagne russe la sua, vissuta troppo in fretta. Nasce in un paesino di 7.000 abitanti: “Il mio era un paese di contadini e lavoratori, non c’era niente. Ricordo che giocavo a calcio per strada”. Come ero da bambino? “Un ribelle. Facevo cose che non avrei dovuto fare. Mio padre me le dava forte”. Il calcio nel suo destino per via di una promessa: “Ero legatissimo a mio cugino Josè. Lui è venuto a mancare presto a causa di una brutta malattia, e mi fece promettere che avrei fatto il calciatore”. Poi aggiunge: “E’ grazie a lui se ce l’ho fatta.”.
IL RIVER, IL BOCA E IL BRESCIA
Coraggioso, si diceva. Luis a 13 anni cresce velocemente tra sogni e realtà. Così arriva il River Plate: “A 13 anni feci un provino e mi volle il River Plate. Da un giorno all’altro fui catapultato da un paesino alla capitale”. L’impatto con i Millonarios non fu dei migliori: “Dopo due mesi tornai a casa, ero piccolo non volevo restare lì. Quando sono tornato al mio paese mi vedevano tutti come un fallito”. Alfageme torna al Cipolletti, ma il destino è dietro l’angolo: “Facemmo un’amichevole contro il Boca. A fine partita vidi la mia famiglia parlare con i dirigenti”. Il giorno dopo... : “Stavo andando a scuola ed il presidente mi disse che mi aspettava un aereo direzione Buenos Aires”. Doveva durare tre giorni la prova, invece: “Arrivai la sera. e la mattina dopo feci allenamento. Dopo pranzo “Mamma”Maria, coordinatrice della Casa Amarilla del Boca, si avvicina dicendomi che era tutto fatto. Dovevo tornare a casa e due mesi dopo ripresentarmi a Buenos Aires. Ero un nuovo calciatore del Boca”. Promessa mantenuta, nel nome del cugino Josè. Luis torna nel suo paesino, ad accoglierlo una grande festa per il “bimbo d’oro”. I mesi volano, Alfageme compie 14 anni e diventa uno Xeneizes. L’approdo al Boca è stato il giorno più bello della sua vita: “Era un sogno. Vivere la Casa Amarilla, allenarmi con giocatori come Tevez, Riquelme, Burdisso”. L’occhio diventa lucido. L’emotività prende il sopravvento sui ricordi. Poi aggiunge: “Carlitos era un fenomeno. Lui spesso scappava dalla Casa Amarilla, andava a Fuerte Apache e si faceva pagare per giocare partite di calcetto in strada. Era un loco”. Ma non c’è tempo di fermarsi, il Boca viene invitato per un torneo Sub18 in Europa: Svizzera, Germania e Olanda. Tra i convocati c’è anche Luis, e questo torneo gli cambia per l’ennesima volta la vita: “Girammo l’Europa per un mese e mezzo. Dopo l’ultima partita in Svizzera dovevamo tornare in Argentina”. Ma … “Un dirigente del Boca mi disse che mi voleva il Brescia, dovevo andare in Italia. Non dissi nulla alla mia famiglia, e andai a fare un torneo a Gubbio”. Come andò a finire? “Firmai un contratto di 5 anni, poi chiamai a casa e dissi tutto alla mia famiglia”. La reazione? Luis sorride poi... : “Lasciamo perdere”. L’ultimo ricordo che ho dell’Argentina? “Togliermi la maglia del Boca definitivamente. Non ho rimpianti, però andò tutto troppo veloce”.
L’ITALIA, "LA VIDA LOCA", DI FRANCESCO E SARRI
Alfageme è dovuto crescere in fretta. La sua vita cambia tre volte in poco più di un anno. Adesso Brescia è la sua nuova casa: “A Brescia tutti pensavano avrei potuto fare la storia del club”. Luis però per tre anni non può giocare, in quanto il Boca non concede il transfer al Brescia. La situazione cambia dopo aver raggiunto la maggiore età: “La AFA, decide in base al mio contratto di lavoro che avrei potuto giocare in Italia”. Scudetto Primavera perso in finale, ma ciò che ricorda sono gli allenamenti con la prima squadra. In quel Brescia di Guardiola, Baggio, Toni: “Un giorno Guardiola si arrabbiò tantissimo con me durante un torello. Io usavo sempre l’esterno e lui un giorno fermò il torello e mi urlò – usa la izquierda cabron –“. Poi gli viene da sorridere: “In quel periodo tutti parlavano di Baggio in Nazionale. Un giorno a fine allenamento Toni dice a Baggio e Guardiola che per lui la Nazionale era un sogno, e loro si misero a ridere e lo presero in giro. Sapete tutti come è andata a finire nel 2006”.
Iniziano i prestiti, arriva il momento di diventare grande: primo passo l’Acireale. Lì Luis incontra due persona importanti: “Una è Leandro Vitiello, uno dei miei migliori amici, la seconda Guido Ugolotti. Diceva sempre che rendevo molto meno di quanto avrei potuto. Ero troppo indisciplinato”. Già perché gli anni successivi – 2006-2008 – sono anni gettati al vento: “Ho buttato quegli anni. Avevo la testa da un’altra parte, pensavo a divertirmi, alle ragazze. Non ragionavo nel modo giusto”. Già le ragazze, quanto hanno influito nella mia carriera? “Tanto, anzi troppo. Menomale che ora c’è Catalina”.
Alfageme cresce, cambia ed inizia a mettere il calcio al centro del suo mondo. Sceglie Lanciano, voluto fortemente da Luca Leone. Lì trova Eusebio Di Francesco: “E’ un allenatore che mi ha cambiato. Era fortissimo, pensai subito che avrebbe fatto una grande carriera”. Perché venne esonerato? “Colpa nostra non sua”. Poi arriva il triennio di Grosseto: “Grosseto mi ha cambiato la vita sia da un punto di vista privato che professionale”. In Toscana incontra Maurizio Sarri: “Non mi aspettavo facesse questa carriera. Era un maniaco della tattica”. Poi ci svela: “Era fissato con le scarpe nere ed i calzini alzati”. Camilli? Luis ride, poi ci racconta: “Una volta litigò con Cairo in tribuna, ricordo che gli lanciava in testa le cartine di caramelle”. Poi aggiunge: “E’ un presidente che vuole sempre vincere. E’ ovvio che se cambi 8 allenatori in un anno lo spogliatoio ne risente”.
LA SUA NUOVA CASA: LA CAMPANIA
Arriva il Benevento: “Tutti parlavano del Benevento. Volevo provare a vincere”. Vigorito? “Quando ci parlai mi resi conto della sua ambizione. Lì c’era tutto, non sono sorpreso che qualche anno dopo si sono ritrovati in Serie A”. Un campionato importante, ma alla fine perso: “Eravamo una squadra fortissima, ed eravamo convinti di vincere il campionato, forse l’errore nostro è stato proprio quello. Perderlo è stata una delle delusioni più grandi della mia carriera”. Alfageme va a Caserta, in quella che è diventata la sua seconda casa: “Caserta si è innamorata di me ed io della città. Il primo anno stavamo per vincere il campionato”. Poi… “Ci fu la partita di Benevento, una partita strana, dispiace perché quell’anno saremmo potuti andare in B”. Lasciare Caserta fu un atto d’amore: “Avevo un contratto importante e la società aveva bisogno di soldi. Così andai a Padova, ma appena ho potuto sono ritornato”. Già perché a distanza di un anno l’argentino ritorna a casa: “Ci avevo lasciato il cuore. Ricordo che tanti bambini erano contenti e questa cosa mi inorgogliva”. Una Casertana vicina a realizzare un sogno: “Mi sentivo l’anima di quella squadra. Eravamo guidati alla perfezione da D’Angelo, e uscimmo ai playoff con due pareggi contro il Cosenza che poi andò in B”. Quest’anno qualcosa si è inceppato: “La società ad un gruppo forte, ha aggiunto tanti calciatori forti, forse troppi”. Fontana? “E’ un ottimo allenatore, ma troppo buono. Per quella squadra forse sarebbe servito un altro tipo di allenatore”. Poi sottolinea: “La Casertana ha tutte le carte in regola per andare in Serie B e una grande società. Faccio il tifo per loro”.
L’AVELLINO: LA SUA ULTIMA TAPPA?
Alfageme e l’Avellino, una trattativa che parte da lontano: “Nel 2016 Dario Marcolin allenava l’Avellino, e mi propose di trasferirmi lì. Era una trattativa che poteva concretizzarsi, ed io volevo rimettermi in gioco in Serie B”. Lui fu esonerato, ed Alfageme rimase a Caserta: “Da quel momento l’Avellino è sempre stato un mio punto fisso”. Gli irpini ripartono dalla D e puntano su Alessandro De Vena suo grande amico: “Ci sentivamo spesso, ed io gli dicevo che ci saremmo rincontrati in Lega Pro”. Poi qualcosa è cambiato: “Ad Avellino è arrivato Cinelli – secondo di Bucaro – che mi ha allenato l’ultimo anno a Benevento. In quell’occasione ci facemmo una promessa. A gennaio mi ha mandato un messaggio speciale ,in quel momento ho scelto l’Avellino”. L’obiettivo è chiaro: “Dobbiamo vincere il campionato. Tutto è ancora aperto”. Poi aggiunge: “Questa piazza merita altre categorie, ed io non ho mai avuto voglia di vincere come quest’anno”. Poi ci svela: “Se riuscissi a vincere potrei anche lasciare il calcio”. Il Futuro? “Tornare in Argentina ed aprire una scuola calcio per bambini”.
Un aperitivo, qualche consiglio di moda ed una promessa semmai l’Avellino dovesse farcela. Salutiamo Alfageme, il gigante dal cuore buono.
A cura di Francesco Falzarano