"Se segni sei a posto per tutta la vita". La profezia di Bobo Vieri non si avverò, tuttavia Massimo Maccarone è felice lo stesso della carriera che ha fatto e che a 38 anni lo ha visto "debuttare" ancora una volta, nel Brisbane Roar, A-League australiana. A 22 anni la prima in Nazionale, da giocatore di una squadra di serie B: il destino sembrava già scritto. Sliding doors di vent'anni di carriera, con il riscatto del Milan che poteva scrivere un'altra storia e la scelta Middlesbrough che ne ha deciso un'altra. Di mezzo l'Empoli, l'amore di una vita e il Siena, l'amante, due capitoli felici della carriera di "Macca".
"L'Empoli è la squadra del cuore" - racconta BigMac ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - "Il club che mi ha cresciuto e fatto diventare calciatore e uomo e dove ho deciso di stabilirmi per sempre. Ho casa ad Empoli e lì vivrò con la mia famiglia una volta smesso. Qualcuno se l'è presa con me? Ho scritto ciò che pensavo nella mia lettera d'addio, ciò che mi ha detto il cuore, del resto non voglio parlare. Alcune persone hanno capito bene a chi mi riferivo, ma, ripeto, non voglio più parlarne. Voglio solo ricordare i momenti stupendi vissuti con una città e un club che mi rimarranno sempre dentro". Impatto con la realtà australiana? "Ottimo, mi piace molto la città e l'ambientamento sta procedendo nel migliore dei modi. Quando ho lasciato l'Empoli non ho voluto ascoltare altre offerte, perché non potevo giocare con nessun'altra squadra da avversario. Appena mi hanno detto del Brisbane, della possibilità di giocare in Australia, non ci ho pensato molto: la sfida mi affascinava".
Facciamo un piccolo passo indietro. Nel 1993 arrivò la prima "convocazione" importante, il Milan: cosa ricordi di quel periodo? "Tanti sacrifici, tra studio e allenamenti ogni giorno dovevo prendere treno e autobus. Passai dal piccolo club del Soccer Boys Turbigo a una delle società più importanti del mondo: gli impegni triplicarono. Ore di viaggi, tornavo a casa distrutto. Per fortuna i miei genitori mi hanno sempre portato ovunque, sacrificando le ore di riposo dal lavoro. E mi hanno insegnato da subito cosa significa guadagnarsi uno stipendio con il lavoro. Nell'estate del 1994, a 15 anni, mi trovarono un lavoretto da un fruttivendolo. Scaricavo le cassette di frutta, non me ne vergogno. Un giorno decisi di buttare per terra i meloni per farmi allontanare: c'erano i mondiali di Usa '94, c'era Roby Baggio. Andai subito al bar per vedere e per quella bravata mi licenziarono".
Chi era il punto di riferimento in prima squadra? "Ho avuto la possibilità di allenarmi con grandissimi campioni, come Costacurta, Maldini, Albertini, giocatori che hanno fatto la storia del club rossonero. Occasione persa? Nel 2001 non presi benissimo la decisione dei rossoneri di non riscattarmi con più convinzione: ero felice di fare parte del Milan, che allora era il top. Ma, in fin dei conti, se non fosse andata così non avrei mai avuto la possibilità di innamorarmi di Empoli. Mi sarebbe piaciuto giocarmi le mie carte, avevo la stima di Capello, che spesso mi riprendeva in allenamento e ricordo con piacere anche Kluivert e Rossi".
Poi la seconda chiamata importante, la più inaspettata. Era marzo del 2002, e alla vigilia di Inghilterra-Italia Vieri si fece male in allenamento. Il "Trap" scelse Massimo per sostituirlo: in quel momento Maccarone era in ritiro, o meglio, in gara con l'Under 21. Risultato? Il giorno dopo Macca entrò a 15 minuti dalla fine e si fece atterrare in area di rigore dal portiere inglese "calamity" James: Montella trasformò il rigore che diede la vittoria agli azzurri. "La notizia delle convocazione di Trapattoni me la dette Gentile, tra il primo e il secondo tempo della partita con l'Under 21. Non capii il motivo, stavamo vincendo 3 a 0, stavo giocando bene: ci rimasi male. Poi mi disse il motivo, Vieri si era infortunato e il Trap aveva scelto me. Dalla rabbia alla gioia, ero così felice che chiesi a Gentile di giocare almeno altri 10 minuti. Poi il giorno dopo la favola prese forma. Mi procurai il rigore, che Montella realizzò: anche lui era esploso a Empoli, quasi un segno del destino. Ricordo ancora la frase di Vieri prima di scendere in campo: 'Se segni sei a posto per tutta la vita...' (ride)".
Come descriveresti l'esperienza in Premier League? Steve Mcclaren ti definì un "nuovo Del Piero", tranne poi metterti in panchina per buona parte della tua avventura inglese... "Nonostante tutto positiva. Ebbi la possibilità di giocare nel campionato più bello e più seguito al mondo, di fare una grande esperienza sia a livello calcistico che di vita. Giocai e segnai in Coppa Uefa, partecipai a una finale. E diciamola tutta, dato che ora ho scelto di giocare in Australia, dovevo imparare bene l'inglese: mi ero portato avanti! (ride di nuovo)". Poi il ritorno in Italia e la nuova rinascita in Toscana. Empoli la moglie, Siena l'amante, la mettiamo così? "Ci sta dai. Però oltre a queste due aggiungo il primo amore, Prato: mi trovai molto bene e legai tanto con i tifosi. A Siena ho passato quattro anni fondamentali, dove, oltre a livello calcistico, ho vissuto benissimo anche fuori dal campo, coccolato dalle persone, in una città bellissima".
L'allenatore più importante è Silvio Baldini, che ti voleva ancora con sé, a Carrara: "Vado diverse volte in Versilia e anche questa estate sono stato con Silvio. Abbiamo parlato tanto di calcio e del possibile passaggio alla Carrarese, ma lui sa le motivazioni che avevo per venire in Australia. Con Baldini conservo un bellissimo rapporto e sono felice per questo suo avvio di stagione. Lo seguo sempre, sono un suo grande fan". Ora il domandone: chi è il più bravo tra Baldini e Sarri? "Sono due grandi allenatori, difficile rispondere. Baldini ha un carattere particolare, ma è molto preparato e bravo. Sarri non c'è neanche bisogno che lo descriva, lo vedete da voi". Hai la passione per i tatuaggi, ce n'è uno con un significato particolare? "Sicuramente quello dedicato alla mia famiglia e alle mie bambine, Ginevra e Matilda. E' il più significativo perché loro sono la mia vita. Altre passioni? Sono nato e cresciuto nei bar, con gli amici, per cui mi piace molto giocare a carte. Scopa, briscola, tressette, giochi che mi appassionano molto e mi mancano. Qui non c'è nessuno che sa giocare...".
Piatto preferito? Troppo scontato aspettarsi i "maccheroni al sugo", "Macca" non è mai banale: "E' un po' triste, non vorrei neanche dirlo: riso in bianco, verdure e pollo. Lo so, non è il massimo... (altra risata). Soprannome preferito? BigMac, me lo sono pure tatuato sul braccio: me lo porto dietro da tanti anni ed è quello che mi rappresenta di più. Ma ad Empoli mi chiamavano anche “Macca” e nelle giovanili “Piccolo Vialli”, il mio idolo in assoluto: devo ammettere che non mi dispiaceva!".
A inizio carriera dicesti "gioco fino a 40 anni": sei stato di parola. Poi cosa farai? "Per ora gioco, ne ho appena compiuto 38 e voglio mantenere la promessa. A 39, facendo gli scongiuri, ci arrivo qui in Australia: spero di trovare qualcuno che mi faccia giocare l'ultimo anno. Poi mi piacerebbe rimanere nel mondo del calcio, ma lavorare con certe persone, visto il carattere che ho, mi comporterebbe molta fatica". Adesso, però, spazio ai gol: è caccia al primo in A-League, il numero 215 in carriera. E fatto il primo, siamo sicuri, non basteranno le dita delle mani per contarli.