Vivere per il calcio può sembrare una frase fatta. Senza significato. Sciocchezze. “Per me la panchina è vita”. Maurizio Sarri torna finalmente a casa sua, in quel campo verde che ha scelto per passione, prima ancora che professione. E che lo ha portato vicino al tetto d’Europa. Non è per lui una conferenza stampa come le altre. Ma lo sembra lo stesso. Niente saluti particolari, solo tantissima concentrazione al rientro da quella polmonite che gli ha fatto saltare le prime due partite da allenatore della Juventus, una tra l’altro contro il suo passato napoletano.
Entra determinato: vuole vincere. Sguardo dritto. E la consapevolezza che a Firenze molti degli occhi (e delle telecamere) saranno puntati su di lui. È la prima da allenatore in gara ufficiale, se la vuole vivere tutta. Ha già dovuto fare scelte difficili, lo sa e non lo nasconde: “Ma non dite che sia una situazione imbarazzante, dimostra solo la forza e la qualità di questa rosa”. Rosa che sta plasmando ogni giorno di più.
Ritorna sempre quella parola, sarrismo. Anche quella rischia di perdere di significato, se non diventa una filosofia di calcio vera, non riprodotta con lo stampino. “Non sono qui per replicare le mie esperienze passate”: è a Torino, da allenatore della Juventus, per vincere con la squadra “più forte”. L’atteggiamento che vuole è feroce, proprio come il suo che nonostante i giorni di assenza è pronto a ripartire. “Mi hanno detto di fare un passo indietro: ringrazio il mio staff medico”, dice.
Ma adesso si torna in campo. Si torna a casa. Si torna anche a Firenze, dove gli affetti familiari restano indimenticabili. “Mia nonna abitava a due passi dal Franchi. Mia mamma? Non era contentissima che firmassi per la Juve, è vero. Poi in famiglia io tifavo Napoli, gli altri erano tutti della Fiorentina...”. Quella Fiorentina che gli ha negato lo Scudetto da allenatore del Napoli. Scherzo del destino. Ora, un nuovo capitolo. In quattro parole: si torna a vivere. Per cominciare, davvero, un’avventura che non vede l’ora di affrontare.