Proprio nelle ore più calde al suo approdo alla Juventus, Maurizio Sarri ha rilasciato una lunga intervista esclusiva ai microfoni di Vanity Fair: dalla sua voglia di tornare in Italia dopo l’anno passato nella panchina del Chelsea, alle polemiche dei tifosi del Napoli, per poi passare alla leggendaria tuta che indossa in campo ed infine alle sue superstizioni, che sono sempre meno.
Dopo un inizio difficile, l'ex bancario ha portato al trionfo in Europa League il Chelsea, demolendo i Gunners per 4-1 in una finale da brividi.
“Per noi italiani il richiamo di casa è forte, senti che manca qualcosa. È stato un anno pesante e comincio a sentire il peso degli amici lontani, dei genitori anziani che vedo di rado. Ma alla mia età faccio solo scelte professionali. Quando torno a casa in Toscana mi sento un estraneo. Negli ultimi anni ci avrò dormito trenta notti".
Cresciuto in Toscana ma di origini napoletane, Sarri risponde alle polemiche dei tifosi del Napoli, che non vorrebbero vederlo in bianconero dopo le tre stagioni alla guida degli azzurri: “I napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ho scelto l’estero l’anno scorso per non andare in una squadra italiana. La professione può portare ad altri percorsi, non cambierà il rapporto. Che vuol dire essere fedele? E se un giorno la società ti manda via? Che fai: resti fedele a una moglie da cui hai divorziato? Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei”.
Con la sua filosofia di calcio, il “sarrismo” ha conquistato anche il calcio inglese: “E’ un modo di giocare a calcio e basta, nasce dagli schiaffi presi. L’evoluzione è figlia delle sconfitte. Io dopo una vittoria non so gioire perché chi vince, resta fermo nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti. Mio nipote mi fa leggere la pagina Facebook Sarrismo e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social, non ho nemmeno whatsapp".
Sulla leggendaria tuta che indossa in campo: "Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare. Sinceramente a me fanno tenerezza e tristezza i giovani colleghi del campionato Primavera che portano la cravatta su campi improponibili”.
E sulle sue superstizioni fa chiarezza: "Ne ho meno di quelle che mi attribuiscono. Mi è rimasta l’abitudine di non mettere piede in campo, dentro le linee dico, finché la partita non è finita, ma prima o poi abbandonerò pure questa: già in certi stadi le panchine son dalla parte opposta degli spogliatoi e il prato devo calpestarlo per forza. Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono”.