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Data: 08/02/2017 -

Romanzo sudamericano, storia di altre imprese con una maglia in... prestito

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Che una squadra sudamericana giocasse con maglie diverse da quelle ufficiali, era già successo molte volte. In Bolivia, per esempio, il Ciclón de Tarija si era ritrovato ad affrontare il Real Potosí vestito da… Roma. Avevano portato una sola fornitura, simile a quella degli avversari, e così il magazziniere era andato a una bancarella fuori dallo stadio e aveva comprato un kit di maglie false della Roma, su cui erano stati disegnati i numeri con un pennarello. Una storia simile era capitata in Colombia agli attuali campioni in carica del campionato locale, l’Independiente Santa Fe.

Ma farsi prestare anche le scarpe, quello forse è un avvenimento assolutamente inedito. E lo è in particolare vista l’importanza della partita, una sfida di Copa Libertadores, come se da noi in Europa succedesse in Champions League.

L’Atlético Tucumán ha pagato l’inesperienza a livello internazionale: era la prima volta che la società si trovava a organizzare una trasferta fuori dall’Argentina, visto che non si era mai qualificata prima per una coppa. Le soluzioni per affrontare l’altura sono due, e le scuole di pensiero dei preparatori atletici completamente opposte. O si arriva molto prima, per acclimatarsi alla rarefazione dell’aria, o si arriva molto a ridosso dell’evento, per evitare di subire le conseguenze delle particolari condizioni climatiche prima ancora di giocare.

Gli argentini hanno scelto la seconda soluzione. E hanno parlato di complotto, pensando che El Nacional, squadra dell’esercito ecuadoriano, avesse in qualche modo boicottato la partenza del charter della squadra da Guayaquil, dove era fermo per scalo tecnico, in modo da provocare un ritardo sufficiente a non giocare la partita e vincere a tavolino qualificandosi al terzo turno preliminare della Copa Libertadores dopo il 2-2 dell’andata in Argentina.

Un dirigente dell’Atlético Tucumán ha implorato misericordia in tv dicendo: “Ma è la nostra prima partecipazione!”. L’ambasciatore argentino in Ecuador è intervenuto, sempre in tv, chiedendo: “Non rompessero le p** con il regolamento!”. Qualcuno da Asunción, sede della Conmebol, ha fatto partire una telefonata ordinando di giocare nonostante fossero passati i tempi massimi di attesa previsti dal regolamento stesso: 45 minuti, la durata di un tempo, appunto, di gioco.

Molti tifosi sono rimasti a Guayaquil sperando nella doppia impresa, l’arrivo in tempo con un altro aereo preso “al volo” e il trionfo. Altri, truffati da un’agenzia viaggi, si sono ritrovati lontani da Quito, in un aeroporto sperduto nel cuore dell’Ecuador, senza possibilità di arrivare allo stadio. Pochi, previdenti, erano lì, presenti, lì dove avevano bloccato il traffico la sera prima cantando e festeggiando per le strade cittadine. Qualcuno racconta che San Miguel de Tucumán fosse completamente vuota, perché i suoi abitanti erano tutti da qualche parte, in Ecuador.

Partiti da un aeroporto piccolissimo, con un solo nastro per i bagagli, verso un sogno gigantesco. Con la sorte di trovare hermanos, fratelli argentini disposti a dare una mano, come i coadiuvanti nelle storie dei supereroi. Con una maglia che rappresentava un popolo ma anche se stessi, perché casualmente l’Argentina è albiceleste proprio come l’Atlético Tucumán. Con il gol del numero 9, il Bati Zampedri, un segno del destino avere come soprannome lo stesso del più grande cannoniere della storia dell’Argentina, Gabriel Omar Batistuta, secondo nella classifica marcatori della Selección soltanto a Messi. In uno stadio dove le ultime tre argentine che hanno giocato hanno perso. E si chiamavano River Plate, Boca Juniors e nazionale under 20. Non certo dei piccoli club del nord del Paese.

Ci sono anche degli sconfitti, in questa favola. E sono gli ecuadoriani. Perché credere d’aver vinto, come previsto da regolamento, star lì ad aspettare senza sapere cosa sarebbe successo, essere battuti così… fa male. Nella Storia, però, resta chi vince. Nel partido de pelicula, la partita da film, i protagonisti sono quelli che hanno sfidato i 2900 metri di Quito entrando in campo con la maglia della nazionale e le scarpe del numero sbagliato dopo ore di tensione. E hanno vinto.

Rosario Triolo

www.facebook.com/romanzosudamericano

@triolor



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