La sua carriera è iniziata da attaccante, poi con il tempo è scalato sempre più dietro. Da prima punta veloce a difensore roccioso, in questa posizione mercoledì Kostas Manolas si troverà ad affrontare una delle squadre più forti del mondo. In un’intervista rilasciata a Il Giornale, il difensore della Roma ripercorre la sua storia e analizza la sfida con il Barcellona: “All’inizio della mia carriera giocavo attaccante, da bambini tutti vogliono segnare. Poi sono andato più indietro perché in un’estate sono cresciuto di 10 centimetri in altezza e mio zio Stelios è stato il miglior difensore della storia della Grecia. L’avversario più forte che ho sfidato? Ibrahimovic, che ho incontrato ai tempi del Psg: unisce altezza, velocità, forza nel tenere la palla e tecnica”. Da Zlatan a Messi, Manolas tra poco meno di 48 ore si troverà ad affrontare uno dei giocatori più forti al mondo: “Ha ragione Guardiola quando dice che non c’è un modo per fermarlo. Però se ti fissi che devi bloccare lui, ci sono altri dieci che possono far male. Certo, senza l’argentino il Barcellona è un’altra cosa, dobbiamo fare il nostro massimo. E poi loro non hanno più uno come Neymar. Ammiro molto Piquè, difensore elegante che gioca bene il pallone con i piedi. Se stai dieci anni lì, non è un caso. Tre anni fa sbagliammo tatticamente la partita, giocammo troppo alti e loro, squadra dalle enormi qualità tecniche e dall’incredibile palleggio, trovarono spazi facilmente. Ora non dovremo andare lì con la paura di subire tanti gol: rispetto del Barcellona ma consapevolezza della nostra forza. La Roma ha fatto il massimo in Europa? Il girone non semplice ha dimostrato che siamo una grande squadra, ora abbiamo una doppia sfida con un avversario fortissimo. Loro sono favoriti, ma nel calcio si gioca 11 contro 11 e non si sa mai”.
Dal campo al mercato, il difensore giallorosso svela alcuni retroscena sull’interessamento della Juve in questi anni e il possibile passaggio allo Zenit nella passata estate: “Con i bianconeri c’erano stati dei contatti già ai tempi dell’Olympiacos ma solo con il mio procuratore. Lo Zenit? Mi avevano offerto un contratto particolare che io alla fine non volevo firmare, ma ero consapevole che se rimanevo alla Roma sarei stato contento lo stesso. Qui sto bene, anche se c’è sempre lo stress e il pressing dei tifosi per far bene. Voglio vincere qualcosa con questo club che mi ha dato la possibilità di giocare in Serie A. Un flash sui tre allenatori che ho avuto alla Roma? Con tutti siamo sempre rimasti fra le prime tre del torneo. Con Garcia abbiamo creato tanto e preso pochi gol, è una bella persona rimasta nel mio cuore. Spalletti è un tecnico forte che ci allenava molto sulla tattica, anche in attacco. Di Francesco lavora molto sul pressing davanti per riconquistare la palla e fare attacco veloce, ma non trascura il lavoro difensivo. È un allenatore che merita la Roma e avrà un grande futuro in questo club. L’obiettivo Champions in campionato? Non possiamo permetterci di farcela sfuggire, è la strada per rigiocare queste gare europee che sono bellissime. La Roma è un club che merita di esserci sempre, sarebbe un dramma non giocarla e non è solo una questione economica. La tragedia di Astori? La sua morte è stata una cosa assurda, era un ragazzo incredibile e un professionista serio. Sono stato in ritiro con lui in stanza, aveva sempre il sorriso e così voglio ricordarlo. Ed è per questo che, come per mio nonno, non sono andato al suo funerale. Nella prima partita che ho giocato con lui (il 30 agosto del 2014 contro la Fiorentina, ndr) mi fece i complimenti. E quando ho fatto gol dopo la sua scomparsa, ho alzato le mani al cielo, mi manca dentro al cuore”.
L’intervista completa su ‘Il Giornale’ in edicola oggi.