Più di 200 gol in carriera, Edin Dzeko non poteva essersi scordato come si faceva a buttarla dentro. Un anno di adattamento e qualche critica di troppo, interpretata nel modo giusto, hanno restituito alla Roma il goleador dei tempi del Wolfsburg e del Manchester City. Venti gol in ventinove presenze la risposta di questa stagione, il bomber è tornato. Ma che fatica...
"In Inghilterra c’era meno pressione, se non giochi bene è normale che ti critichino" - si legge nelle pagine del Messaggero - "Ma le critiche fanno parte del gioco, le accetto. Roma è simile alla Bosnia: non ti criticano, ti insultano. Quindi sono abituato. Se lo fanno a casa mia... Fai bene tre volte, ma se alla quarta sbagli, ecco che ricominciano con gli insulti. E’ come se si aspettasse l’occasione giusta per colpirti. Io posso solo ricordare quello che ho vissuto e allora mi viene spesso in mente che, se faccio bene tutta la partita e poi sbaglio un’occasione, tutti parlano solo del gol sbagliato. Solo quello".
A Roma si vive bene? Dzeko cambierebbe qualcosa: "E' una città meravigliosa, specie per chi ha vissuto non in posti eccezionali come Manchester o Wolfsburg. Certo, muoversi in macchina diventa un problema: le strade sembrano quelle di Sarajevo dopo i bombardamenti. Si vede che è una città in difficoltà, in crisi. Bisogna investire sulle strade, non si possono abbandonare così. Girare per Roma non è facile.Mi è capitato di andare in centro, ben coperto per non farmi riconoscere. Con il cappello e gli occhiali. Ricordo quando sono venuto a Roma ai tempi in cui giocavo nel Manchester: non mi ha filato nessuno, giravo tranquillamente. Oggi non è più così, sono riuscito a fare due passi in via Condotti con la mia compagna solo il lunedì dopo il gol alla Juventus".
Gol indimenticabile e l'errore imperdonabile: "Evito di soffermarmi sugli errori sotto porta. Ma quello contro il Palermo non si può spiegare. E di gol ne ho sbagliati, ma così mai. Poi quella sera ne ho fatti due più due assist, ma nessuno ha parlato di questo. Rimane sempre impresso l’errore. Indimenticabile? Quello alla Juventus, il primo. È sempre importante lasciare subito il segno quando si viene in una nuova squadra. Io vivo per il gol. I gol sono la mia vita, spero di farne ancora tanti e di aumentare il livello delle mie performance. Juventus? E’ vero, c’è stata la possibilità di andare in bianconero. Ma alla fine sono qui e sono felice di questa scelta".
Il numero 9 della Roma prova a spiegare perché la scorsa stagione non riusciva a incidere: "L’anno scorso non ho fatto preparazione con la mia squadra perché c’era sempre la voglia di andare via dal City ed anche lì non ho giocato le amichevoli e dopo due-tre mesi a Roma anche la forma è andata giù. Non sono stato preparato bene come mi sento adesso. Se ho pensato di andare via? "Sì, succede quando non giochi. Poi ho deciso di restare e ne ero sempre più convinto, anche nell’ultima in casa contro il Chievo. Non ho giocato quel giorno, ma mi sono detto: da qui non mi muovo. Scelta mia, non mi ha chiesto nessuno di rimanere. Era una sfida da vincere. Sono andato in vacanza, ho staccato la spina e sono ripartito".
Da Garcia a Spalletti cambio netto: "Prima di venire qui tanti giocatori mi dicevano che in Italia si ci allenava tanto. Avevo scherzato con Mancini che mi aveva avvertito di prepararmi a correre. E la stessa cosa mi ha confermato Jovetic. Poi sono arrivato a Roma e con Garcia non era proprio come mi avevano preannunciato. Era anche colpa nostra, molti di noi erano stanchi, avevano problemi e anche Rudi non voleva fare molto in allenamento. A quel punto diventava difficile giocare bene per novanta minuti. Dopo settanta eravamo tutti stanchi. Lui doveva essere un po’ più duro, proprio come Spalletti. Bisognava evitare che qualcuno si rilassasse troppo".
Molle a chi? "Spalletti vuole sempre di più da me e da tutta la squadra. Noi siamo giocatori e ragazzi, viviamo di emozioni. Quindi mi piacerebbe sentire ogni tanto da lui anche qualche complimento. Di aver fatto bene. Ma io non ho nulla contro Spalletti. Voglio fare sempre di più. Quello che mi dice è uno stimolo. Spalletti ha personalità, un allenatore deve far sapere ai giocatori chi è il capo. Lui ha queste caratteristiche, come era Magath ai tempi del Wolfsburg. Spalletti è uno che vuol sempre vincere e anche questo è positivo per la Roma. A Roma non è facile: se vinci tre partite hai vinto lo scudetto se ne perdi una va tutto male".
Il centravanti Dzeko non si sente prima punta... "E’ vero. Non sono un attaccante che resta in area di rigore ad aspettare. Mi piace partire da dietro, giocare con e per la squadra. Fare gli assist. Quando ero piccolo facevo l’ala destra, il mio idolo era Shevchenko. Sono impazzito per lui quando segnò la tripletta contro il Barça al Camp Nou. Van Basten? Qualcuno mi ha accostato a lui, ma per me, all’inizio, esisteva solo Sheva. Cina? Penso che nella vita c’è solo una carriera. Io non mi sento ancora vecchio, voglio giocare tanto e ad alti livelli. Per me questo è più importante del resto. Anche dei soldi. Un vice Dzeko? Io dico solo una cosa: a me piace giocare. Poi, ogni tanto, mi fa bene anche riposare".