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Data: 09/10/2024 -

Rigori falliti e infortuni, Marchese (mental coach): "Serve preparazione mentale"

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Il mental coach Marco Marchese commenta i rigori falliti nella 7^ giornata di Serie A e gli infortuni a lungo termine: come si riparte?
Il mental coach Marco Marchese commenta i rigori falliti nella 7^ giornata di Serie A e gli infortuni a lungo termine: come si riparte?

Chi si ferma non sempre è perduto. Che sia in campo o fuori. È stata una settimana di saliscendi, di inciampi e cadute in Serie A ed Europa, tra stop inaspettati, rigori sbagliati che hanno deciso le partite e calciatori costretti ad arrendersi davanti a infortuni di lunga durata. Ma anche di fronte a crolli di questo tipo - fisici e non -, è sempre possibile trovare il modo di rialzarsi. A testa alta. Quella su cui Marco Marchese, mental coach internazionale, lavora ogni giorno per assicurare ai giocatori una via d’uscita dai momenti no. Theo Hernandez, Abraham, Kean e Castellanos ne possono sapere qualcosa dopo i rigori falliti con Milan, Fiorentina e Lazio. Lo stesso, però, vale per sportivi che devono lasciare il campo per tanti mesi e seguire percorsi di riabilitazione, come Zapata o Bremer.

 

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“L'esecuzione del calcio di rigore è uno dei momenti più critici di una partita”, spiega Marchese riguardo gli episodi accaduti, in particolare durante Milan-Fiorentina. “La pressione è altissima in quei casi, che sia il Milan a sbagliare o bravo De Gea poco importa. A livello mentale non hai raggiunto il risultato, poi il resto sono alibi di chi ha una mentalità non vincente”. 

 

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Gli aspetti fondamentali sul piano psicologico diventano quindi tre: “Il primo è la preparazione mentale. Sembra folle, ma la maggior parte dei ragazzi nel momento in cui prende la rincorsa e alza lo sguardo, cambia idea su dove tirare il rigore. È una pazzia, non deve succedere: prima di calciare un rigore, questo deve essere battezzato e visualizzato nella scelta di direzione e potenza. L’unico focus deve essere dove si andrà a festeggiare. La differenza, poi, la fa il proprio linguaggio interno”. C’è anche un’altra chiave, che si basa sui dettagli: “Lo chiamo ‘l'ancoraggio’. Se ho ad esempio l'opportunità di avere un mio gesto classico per caricarmi, oppure un amuleto qualsiasi come un braccialetto che mi dia gioia e mi faccia pensare al ‘per chi’ faccio ciò, aiuta”.


Il “perché” o il “per chi” rappresentano solo alcuni degli aspetti psicologici su cui un mental coach può lavorare. O magari studiare, come progettato da Marchese per la sua Mental Coaching Football School, un workshop ideato insieme all’avvocato sportivo Jean-Christophe Cataliotti in partenza il 16 gennaio 2025. Una scuola di sei mesi, con lezioni serali da remoto, per essere abilitati a un mestiere su cui “c’è sempre più richiesta da parte dei giovani calciatori” secondo Marchese (CLICCA QUI PER MAGGIORI INFORMAZIONI SULLA SCUOLA PER MENTAL COACH).

 

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Per quanto riguarda i rigori, però, le cose si fanno più leggere a parti invertite. “L'attaccante ha una percentuale altissima di obbligo di raggiungere l'obiettivo, il portiere se ci riesce è un eroe. Non deve avere quella pressione. La bravura del portiere su questo concetto è solo mentale: deve mettere tutta la pressione psicologica sull'attaccante. Anche lui un secondo prima del tuffo non deve pensare di cambiare idea, ma deve essere in grado di trasmettere pressione in maniera non verbale, con gesti o movimenti”.

Se invece si parla di percorsi di recupero da infortuni di lunga durata, come quelli di Zapata, Bremer o Carvajal, il lavoro mentale cambia forma e si plasma nel tempo. “Il ragazzo ha bisogno del benessere. Bisogna partire dall'accettazione dell'infortunio come parte del percorso sportivo, che non significa arrendersi ma lavorare per il recupero con la volontà di tornare dopo mesi davanti al proprio pubblico”. 

Una strada da abbinare a “degli obiettivi a breve termine. Possono riguardare il miglioramento della mobilità come il rafforzamento muscolare. Oppure obiettivi mentali, soprattutto come poter gestire l'ansia, la tristezza o la paura di non tornare più come prima”. La competizione, d’altronde, può crescere anche da fermi. Magari sul campo psicologico: “Bisogna proiettarsi il momento in cui si torna a giocare. Il calciatore deve immaginare quanto sarà forte tecnicamente, quanto sarà migliorato sulla visualizzazione, la tenacia e la cattiveria agonistica, perché ha avuto più tempo degli altri per potersi allenare mentalmente. Ma a differenza loro troverà sempre l'aspetto positivo, perché la mente è un alleato fondamentale nel calcio”.



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