Il destro di Raheem Sterling sotto la traversa, il boato di una parte di Wembley. Quella venuta da Manchester, quella che aveva i favori del pronostico. Proprio lui la chiude, il ragazzo cresciuto a un passo dal tempio del calcio. Ha lo stadio tatuato sul braccio sinistro, quello più vicino al cuore.
Il City vince la Carabao Cup ai calci di rigore: 4-3, dice il tabellone. Risultato che evoca scontri leggendari per una partita epica. Nel gioco e nelle emozioni.
Guardiola alza il suo trofeo numero 26, Maurizio Sarri resta a zero. Una maledizione, la seconda finale persa a Wembley dopo la sconfitta nella Community Shield di agosto. Dolorosa e forse immeritata, considerando l’andamento di una gara giocata col cuore e col cervello. Spazzati via i fantasmi dell 6-0 dell’Etihad di due settimane fa, il Chelsea è stato a lungo superiore, con un Hazard illuminante e un Kanté ubiquo. Zero a zero per 120 minuti, fino all’epilogo drammatico ai rigori.
Lì Sarri è stato tradito dai suoi uomini più fidati. Jorginho, criticatissimo nelle ultime settimane dai tifosi dei Blues, si è fatto parare il primo rigore da Ederson. Kepa ha rimediato volando su Sané, poi David Luiz ha stampato sul palo i sogni di vittoria. Palo pieno, dopo una rincorsa lunghissima: quasi una metafora della carriera di Maurizio Sarri, ancora una volta nudo alla meta.
Always the bridesmaid, never the bride, dicono in Inghilterra di chi arriva sempre secondo. Lo dicevano di Ranieri prima del trionfo con il Leicester, lo dicono adesso di Sarri. Tradito da Jorginho, da David Luiz che lo aveva portato in finale segnando ad Anfield in semifinale e da Gonzalo Higuain, che non se l’è sentita di tirare.
Uno psicodramma evitato pochi minuti dopo una grottesca tragicommedia di cui si parlerà per mesi. Minuti finali del secondo supplementare: Kepa ha un problema al polpaccio, il portiere di riserva Caballero si scalda. Il giovane numero 1 basco sembra non farcela, l’argentino indossa i guanti. Tre anni prima in quello stadio ha parato tre rigori, consegnando la coppa al City. Pregusta un bis che sa di rivincita. Ma al momento del cambio, Kepa si rifiuta di uscire. Attimi di tensione, Sarri perde le staffe e prende la via dello spogliatoio. Poi rientra e carica i suoi. Nessuno sguardo con Kepa, la tensione nella postura e nelle smorfie. Chissà quanti pensieri in quei minuti, tra un futuro appeso a un filo e i ricordi di un passato omerico.
Chissà se in quei minuti gli è venuto in mente il primo maggio del 2003. Il suo Sansovino che vince la Coppa Italia di Serie D contro l’USO, squadra lombarda. Zero a zero anche quel giorno, ma era un doppio confronto e all’andata i toscani avevano espugnato lo “Schieppati” di Calcio, provincia di Bergamo.
C’erano 1000 spettatori quel giorno, Wembley era un pensiero lontano. Guardiola in quel 2003 era a pochi chilometri da lì. Giocava a Brescia, allenato da Mazzone. Il suo maestro, un altro partito da lontano.
“Il calcio di Sarri è un brindisi al sole”, ha detto un giorno Guardiola. Lo ha quasi sempre battuto, lo ha veramente umiliato in una sola occasione. Sono passate due settimane da quel 6-0 e dalla mancata stretta di mano a fine partita.
Wembley è stata un’altra storia. Una sfida decisa da una lotteria e da un episodio controverso. Far entrare il portiere all’ultimo minuto poteva essere un manifesto sarrista. Come fece Osvaldo Jaconi in un leggendario Castel di Sangro-Ascoli che valeva la B nel ‘96 o come fece Van Gaal in Olanda-Costarica al mondiale brasiliano. Mosse tattiche o scaramantiche: Caballero poteva essere il talismano della svolta, come furono Spinosa e Krul. A Sarri resterà il dubbio, causa rifiuto del suo portiere del ’94. Nato due mesi dopo i rigori che ricordiamo con più amarezza, quelli di Pasadena contro il Brasile. Quella notte David Luiz esultò: aveva 7 anni. Questa volta condivide con Kepa un finale amaro.
Stubborn, ossia testardo. Così la stampa inglese ha descritto Sarri, colpevole di un integralismo eccessivo. Nella tattica e nelle strategie a gara in corso. Questa volta le aveva indovinate tutte. Dicevano che i suoi cambi fossero banali. Sempre identici, di partita in partita. A Wembley voleva stupire. O forse semplicemente mettere un portiere integro. La verità sarà difficile scoprirla. A fine partita Sarri parla poco e liquida la vicenda brevemente. "C'è stato un grande fraintendimento, pensavo che Kepa avesse un problema". Ha salito gli scalini di Wembley ricevendo ancora una volta la medaglia più odiata. Parlerà con il suo portiere. Due testardi a confronto. Potevano essere eroi, sono due sconfitti a un passo dal traguardo. Uno ha sessant’anni, l’altro 24. Ripartiranno da Cobham. Per tornare a Wembley. E dimenticare questo ‘big misunderstanding’. Con rabbia e orgoglio. Fra lacrime versate e strozzate, un’altra volta.