Torna a parlare Robi Baggio, che si racconta con un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Tra passato e presente. Ieri Pallone d’Oro, oggi cinquantenne emblema del calcio nostalgico, ecco com’è cambiata la sua vita: “Ero più preparato a smettere di giocare piuttosto che a compiere 50 anni: non ce la facevo più per i dolori. I 50 invece arrivano e nemmeno te ne accorgi... Ora le mie giornate sono vuote. Quando giocavo gli allenamenti erano condensati in due ore, poi la giornata era libera. Adesso sono più impegnato e ho meno tempo di pensare: c’è il progetto a cui sto lavorando e che vi rivelerò appena sarà tutto pronto”.
Trovare un giocatore di oggi capace di ricordare per stile di gioco e personalità Baggio è dura. Durissima. Forse impossibile: “Il mio erede? Non saprei. Guardo molto calcio sudamericano e, da tifoso del Boca Juniors, mi piace molto Centurion ma deve migliorare fuori dal campo”.
Rewind: “Quando giocavo io c’erano giocatori che non sapevano stoppare il pallone nemmeno con le mani, eppure insultavano tutti così passavano per gladiatori. Di certo non sono mai stato uno che ha rincorso un compagno perché ho sempre pensato che se sbagliava sarebbe potuto succedere anche a me”.
E chissà se fosse nato in un’epoca calcistica diversa. Magari questa: “Credo che oggi sarei riuscito a giocare qualche anno in più. E non solo io. Ai miei tempi prima aspettavi la scarpata e solo dopo pensavi a come poter stoppare il pallone. Oggi a volta si rischia l’espulsione al primo fallo. Una volta prendevi le botte e non sapevi nemmeno chi te l’aveva tirata”.
Invece fu protagonista di quel calcio rivoluzionato dall’avvento di Sacchi. Rigorosamente da dividere tra il pre ed il post Sacchi: “Non è stato facile, venivamo da un calcio in cui ognuno doveva inventare e non avevi la cultura calcistica di oggi. Quello che sapevi lo apprendevi dalla strada e non te l’aveva insegnato nessuno. Si fece strada l’anti-calcio. E quelli del mio ruolo facevano fatica a giocare. Zola dovette andare in Inghilterra per trovare posto… Oggi giocherei seconda punta in un 4-3-1-2, sicuro. Di fianco a un centravanti di peso”.
Nessun dubbio nemmeno sul difensore più forte mai affrontato: “Paolo Maldini: quando te lo trovavi davanti sapevi che non saresti passato. Era grosso, forte di testa, di destro e di sinistro… Dovevi mettere insieme 15 giocatori per farne uno come lui”.
Sempre del Milan era l’avversario con cui scambiava più volentieri la maglietta: “Marco Van Basten. E mi sarebbe anche piaciuto giocarci insieme”.
Parliamo di calciomercato. Tiene banco l’argomento Fiorentina viste le tante uscite finora: “Io nei confronti di Firenze avevo e avrò sempre un grande senso di gratitudine, per i due anni di stop dopo il mio primo infortunio al ginocchio. Non avevo mai giocato e la gente mi stava vicino, mi dimostrava affetto e mi stimolava a non mollare, mi diceva che avrebbe aspettato. Sono cose che io non dimentico. Credo che a Borja Valero sia successo qualcosa di simile”.
Baggio ai tempi di Firenze preferiva non mostrarsi in giro durante l’infortunio. Però qualche spedizione al negozio di dischi era d’obbligo. Ma… che dischi comprava? “Gli Eagles, che io mi ricordi. Ai tempi li adoravo”.
Quanto potrebbe valere Baggio, oggi? Con le cifre che circolano… “Non ne ho idea…”.
Poca importanza, ciò che davvero conta è quanto la gente abbia amato il Divin Codino. Unilateralmente. “Credo che, consapevolmente o meno, ho sempre cercato di far divertire la gente. Era il mio modo semplice di giocare. E per la semplicità del modo di essere, di comportami. Non mi sono mai sentito diverso da tutti quelli che mi venivano a vedere: forse quella è stata la mia forza”.
Infine, anche dopo diversi anni, quel rigore contro il Brasile ai Mondiali del ’94 proprio non di dimentica: “Ogni tanto mi capita di ripensarci ma non ho ancora trovato il senso di quell’errore. Ed è la stessa amarezza del 1994, non è diminuita. Penso che non passerà mai. Mi piacerebbe tornare indietro a quegli anni. Sono ricordi intimi, profondi e bellissimi, a parte il finale. Il percorso fu denso di significato. Non avrei mai pensato che un giorno la gente avrebbe voluto indossare quello che noi indossavamo allora. Vuol dire che forse hai lasciato qualcosa di bello e di profondo, anche se… è il Mondiale del 1990 quello in cui mi sentivo di poter fare qualsiasi cosa”.