“Se serve una mano, io ci sono”. Quando Roma chiama, lui risponde. Sempre. Perché “sono tifoso, non devo certo nascondermi”. Dieci anni dopo Claudio Ranieri torna sulla panchina giallorossa. A casa sua, per la sua squadra. Per ridarle forma, per normalizzare un ambiente lacerato da divisioni e incomprensioni. Per provare a ricucire la ferita più grande: quella tra la Roma e i suoi tifosi. In un rewind a stelle e strisce di quanto fece nel 2009.
Lo strappo con Spalletti ancora aperto, una presidenza -contestata- da salvare, e una squadra da ricompattare. Oggi come allora serviva Tinkerman, ma in salsa testaccina. Particolare centrale nella scelta di Ranieri: la sua romanità, il suo essere profondamente romanista senza ipocrisie. E, dettaglio non secondario in un momento come questo, amato trasversalmente da un’intera tifoseria.
Ci fu il campo a dargli ragione, dai 4 derby vinti al quasi Scudetto di quel maledetto Roma-Sampdoria. Ci fu la dialettica furba ma mai ruffiana. Ma fu la coesione squadra-pubblico a rendere magico e indimenticabile quel biennio. Perchè anche se l’ambizione naturale del tifoso giallorosso in fondo non è alzare trofei - a Roma non si è mai stati abituati a farlo - è sempre viva la voglia di cambiare la storia, senza viverla come un’ossessione. La bacheca della Roma è fatta di sentimento, di attaccamento e di un amore che difficilmente si può spiegare. È la storia che lo racconta, è questa unicità che bilancia la mancanza di medaglie e coppe. Quello che forse alla Roma si è perso negli ultimi tempi.
Sentimenti che si sposano genuinamente con atteggiamenti e modi di Ranieri. Alla Roma e con la Roma, solo con lei, torna Sor Claudio. Contratto di tre mesi dopo Di Francesco? Ranieri c’è. Dimissioni (e rinuncia allo stipendio) dopo una debacle come quella di Genoa-Roma? Ranieri non si tira indietro. Perchè per lui la Roma viene davvero prima di tutto.
Il modulo, il quarto posto, la prossima stagione, Zaniolo ala o quarto di centrocampo. Tutto verrà dopo. Insieme, naturalmente, quasi per osmosi con un ambiente che accoglierà a braccia aperte, ancora una volta, un figlio di Roma. Perchè c’è bisogno di amore e di tornare ad amare. Non una semifinale di Champions, non una plusvalenza fatta bene, non il milione di followers, ma un ideale. Perchè ci sono club e club, obiettivi e obiettivi. E Roma non può ricominciare e ripartire cercando quello che la sua storia non ha mai raccontato. Deve ritrovare la sua essenza, ricomporla, per costruirsi un nuovo futuro. Sì, ancora. Per l’ennesima volta. Ma con fondamenta diverse, proprie. Semplicemente romaniste.