Un gol può avere un nome? Si, e anche un soprannome. E’ il caso di Domenico, detto Meco, Agostini. La sua rete in rovesciata con la maglia dell’Ascoli nella stagione 87-88 contro il Pisa è diventata la più bella della storia di questa squadra. “Ho segnato tanti altri gol belli, ma quello credo che rimarrà per sempre nella mente di tutti i tifosi e degli appassionati di calcio”, racconta Meco Agostini. Ma non è tutto, perché c’è qualcosa di magico legato a quella rete.
“Quell’anno il mio compagno di attacco era Hugo Maradona, fratello di Diego. Ogni settimana veniva nello spogliatoio e metteva in mostra tutte le scarpette che il Pibe de Oro riceveva in regalo dal suo sponsor. Noi ragazzini, ovviamente, eravamo invidiosissimi e le guardavamo con bava alla bocca. Una volta gli chiesi se potevo provarne una: mi calzano a pennello e glielo dissi. Lui non ci pensò due volte e mi disse “Tienile allora, te le regalo!””. Ebbene fu proprio con quelle scarpe ai piedi che Meco Agostini segnò il gol destinato a restare nella storia del calcio di Ascoli. “Si chiamavano Puma Mexico ed in Italia non erano mai arrivate, si potevano avere solo in Sudamerica. Erano un guanto, sembrava di giocare senza… e poi erano state indossate da Diego. Portavamo lo stesso numero 40 1/2 - 41”.
E pensare che tra Diego Maradona, il Napoli e Meco Agostini non era il primo intreccio. “Campionato 87-88, il Napoli aveva pareggiato a Como e lottava per lo scudetto con l’Inter che doveva giocare da noi ad Ascoli. Perdevamo 0-1, ma a 10’ dalla fine stoppai un palla sul dischetto del rigore e con il sinistro la buttai in rete”. E via la festa al Del Duca perché quella rete aveva il sapore della salvezza per l’Ascoli che dopo una settimana avrebbe ricevuto proprio il Napoli già campione. “Il giorno dopo il mio gol chiamò Maradona in persona in sede per complimentarsi con me e quando poi giocammo contro mi venne a stringere la mano”. Anche se la salvezza vera e propria quell’anno per l’Ascoli arrivò a Brescia quando fu sempre Meco Agostini il protagonista. “Eravamo sotto di un gol e tutto lo stadio faceva già la festa con la Ola sugli spalti. Poi arrivò il mio gol: fu come spegnere una radio di 35mila voci”.
Maradona da una parte e Boskov dall’altra: i due punti fermi della carriera di Meco. “Quando arrivò ad Ascoli come allenatore io ero poco più che un ragazzino, ma lui aveva una mentalità molto moderna. Dopo la prima partitella di allenamento mi chiamò in disparte e mi disse “Tu ragazzo, domenica giochi con il 9”, io a tratti non ci credevo e per tre giorni non ho chiuso occhio”. Fu solo la prima di una serie di partite da titolare in una stagione che si concluse con la retrocessione per l’Ascoli ma la consacrazione per Agostini. L’anno dopo, sempre con Boskov in panchina Meco fu protagonista a suon di gol, assist e prestazioni da veterano. “E pensare che non avevo neanche 20 anni, ma lui credeva in me e mi trasmetteva grande fiducia: otre che un grande allenatore era uno psicologo strepitoso”.
Un maestro(in panchina) e un amuleto(ai piedi), ecco l’uomo che ha dato il nome al gol più bello della storia dell’Ascoli: Domenico(Meco)Agostini.