"Pugni in pancia, sul viso, ovunque. Temo che possa uccidere qualcuno"...
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Data: 26/03/2018 -

"Pugni in pancia, sul viso, ovunque. Temo che possa uccidere qualcuno". L'ex compagna di un calciatore in attività denuncia le violenze subite sulle pagine de L'Equipe

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“Vi ho contattati perché ho paura che finisca per uccidere qualcuno”. Inizia così il racconto di Miriam, un nome di fantasia scelto da una ragazza che si è rivolta alla rubrica calcistica de L’Equipe per raccontare le violenze fisiche subite dal suo ex compagno, un calciatore ancora in attività. All’epoca dei fatti non aveva la forza di denunciarlo ma con coraggio, a febbraio, la donna è riuscita a parlare di ciò che per anni ha subito, e a cui il giornale francese ha dedicato la prima pagina dell’edizione odierna.

“Ho saputo che aveva picchiato anche la sua nuova compagna con cui poi mi sono confidata. Ogni volta che ‘Monsieur’ alzava le mani, lei prendeva il treno per essere ospitata a casa di suo suocero con cui io sono rimasta in contatto. Un giorno potrò raccontare tutto quello che ho passato a un giudice ma ho paura per i miei figli e per me perché stiamo parlando di una persona veramente pericolosa”, confessa Miriam che poi entra nel dettaglio e descrive la loro storia sin dall’inizio: “Ci siamo conosciuti quando lui andava a giocare con la sua nazionale, in Africa. Quattro anni fa mi ha proposto di venire a vivere in Francia con lui. Mi ha preparato i documenti e così l’ho raggiunto nella città della nuova squadra con cui aveva firmato. Abbiamo iniziato a vivere insieme. Quando l’ho conosciuto era adorabile. Ma da quando abbiamo iniziato a condividere la quotidianità ho visto che era veramente violento. Da lì ha iniziato a picchiarmi. E’ difficile da credere, è sempre stato molto geloso e poteva cambiare la sua personalità in qualsiasi momento. Ogni giorno cercava un pretesto per alzare le mani, e non si sta parlando di piccoli schiaffi ma di pugni in pancia, sul viso, ovunque. In più, io dipendevo completamente da lui finanziariamente perché non voleva che io lavorassi. Quando le mie amiche mi chiedevano di vedermi, lui pensava che ci fosse qualcosa di sbagliato e diventava paranoico. Così ho smesso di avere amiche. Con gli uomini violenti succede spesso così, si hanno spesso dei regali ma si è anche isolati. In uno stato di malattia. E dopo le botte si finisce per negare tutto. Nel settembre 2015 per esempio, tre giorni dopo avermi violentemente picchiata mi ha regalato un’auto nuova. Come se nulla fosse successo”.

Il suo cambio di comportamento è dovuto principalmente ai guadagni, al fatto che sia diventato ricco. Con il tempo è diventato arrogante, non rispettava più nessuno e credeva che tutto gli fosse permesso. A poco a poco tutti i suoi amici si sono allontanati da lui, anche le persone con cui era cresciuto. E’ ancora arrivato a picchiarmi tre volte in un mese. Una volta mi ha detto di andare con lui a fare un giro in macchina. Poi a causa di una crisi di gelosia voleva che gli dessi la mia password di Instagram e non appena ho rifiutato, su una strada piena di curve, si è messo ad accelerare fino a raggiungere i 200 km all’ora. Mi ha slacciato la cintura di sicurezza e ha bloccato il mio corpo solo con la sua mano. Io ho avuto una crisi di panico in auto. Un’altra volta, nell’aprile del 2015, ho perso conoscenza. Eravamo in vacanza Parigi in un hotel e mi ha picchiata nella camera. Quando mi sono svegliata lui era rimasto al mio fianco, la ragazza della reception dell’hotel ha bussato alla porta dicendo che i vicini si erano lamentati e che aveva intenzione di chiamare la polizia. Come ogni volta però lui ha risposto con la sua voce gentile: ‘Ma no, non è successo nulla, soltanto una crisi di gelosia della mia compagna’. E ogni volta tutti gli credevano. In quell’occasione, quando ho ripreso conoscenza, non riuscivo più a respirare e sono andata all’ospedale”.

Avevo il corpo pieno di lividi e forse l’infermiere ha capito cosa era veramente successo. Ma anche ‘Monsieur’ era presente, così ho raccontato di essere stata aggredita da un ladro. L’infermiere mi ha detto di fare denuncia. Io non gli ho dato retta. Sono stata anche abusata. Quando lui mi vedeva piangere dopo avermi picchiata si avvicinava me e mi chiedeva scusa, poi mi violentava. Io cercavo di allontanarlo e quando poi aveva finito continuavo a piangere. Perché non l’ho mai denunciato? Sono stata molto innamorata di lui e volevo proteggerlo, lui e la sua carriera da calciatore. Speravo che cambiasse, che potesse anche darmi un figlio… Più volte ho raccontato agli infermieri di essere caduta in bagno per giustificare i sanguinamenti dal naso e dalla bocca dopo i suoi pugni. Ho subito talmente tante cose che solo oggi realizzo che avrei potuto morire. I poliziotti sono venuti più volte a casa nostra a causa delle lamentele dei vicini ma ogni volta sentivano le sue scuse e dicevano ‘la prossima volta interveniamo’. Solo che non lo hanno mai fatto. Sua mamma e anche la mia mi hanno parlato e mi hanno detto ‘potresti avere un bambino, così lui potrebbe cambiare. Quindi lascia perdere la storia delle violenze’. Io ho detto ok e sono rimasta con lui. Anche quando decidevo di partire per andarmene alla fine non lo facevo mai. Poteva essere gentile e fare tutto ciò che io volevo. Si dimostrava disponibile con me e mi chiedeva scusa. Poi pochi minuti dopo tornava violento. Io stessa sono diventata isterica, non mi riconoscevo più ma mi sono detta che avrei dovuto aspettare il momento giusto e poi andarmene”.

“Nel febbraio del 2016 mi ha picchiato in pubblico e lì ho deciso veramente di chiudere tutto. Ho fatto le valigie e sono andata alla stazione per prendere un treno. Lui è arrivato e davanti a tutti mi ha buttato le valigie per terra. Ero incinta di quattro mesi e mi ha preso a schiaffi. Purtroppo per lui le telecamere della stazione lo hanno filmato. Io piangevo e cercavo solo di recuperare il mio portafoglio, quando sono riuscita a riprendermi alcuni poliziotti mi hanno avvicinato e mi hanno detto ‘Signora si sente bene? Abbiamo visto chi l’ha picchiata e lo abbiamo riconosciuto’. Io però ho detto di no, che non era lui, e dopo 45 minuti mi hanno convinta a testimoniare contro di lui anche se io non volevo dire niente. Anche in quell’occasione tutto è passato sotto silenzio. Gli allenatori che ha avuto e i suoi compagni non hanno mai visto nulla di questo suo comportamento violento. All’esterno sembra una persona riservata e timida. Quando va ad allenarsi è una persona normale che si allena, gioca e rientra a casa come fanno tutti. Al lavoro non è possibile rendersi conto di come lui sia realmente”.

“Quando ci siamo conosciuti lui aveva già un figlio con un’altra ragazza che viveva in una delle sue grosse case. Alla fine ho capito che lui aveva una doppia vita con lei. Un giorno, nell’aprile del 2016, mi ha detto ‘vado a vedere mio figlio’. Non ho più avuto sue notizie per ore perché era stato arrestato dalla polizia per aver picchiato la madre di suo figlio. Sono impazzita. Voleva che chiamassi suo avvocato ma io non trovavo il numero. Quando sono riuscita a mettermi in contatto con lui, lo stesso avvocato ha convinto la donna a ritirare le sue accuse e ho capito che ‘Monsieur’ lo aveva pagato per fare questo. Così è uscito poche ore dopo dal distretto e il club non ha nemmeno saputo nulla perché ha giustificato la sua assenza di 24 ore con un problema di famiglia. Alla fine, nel giugno del 2016, mi ha detto che il figlio che portavo in grembo non era suo. Io me ne sono andata e mi sono rifugiata a casa di una conoscente che poche ore dopo mi ha riportato a casa mia. Quando ho aperto la porta ‘Monsieur’ era la con un’altra donna; voleva buttarmi fuori dall’appartamento che aveva preparato per lei. Ha iniziato a prendermi a sberle, la persona che era con me ha cercato di intervenire dicendo che mi avrebbe provocato un aborto ma la donna gli impediva di aiutarmi. Quando se ne sono andati, un’ambulanza mi ha portato all’ospedale. Quando sono tornata, poi, tutte le mie cose si trovavano dentro dei sacchi e lì me ne sono andata una volta per tutte. Il bambino è nato e oggi lui continua a dire che quello non è suo figlio ma si rifiuta di fare il test del DNA. Ho lasciato perdere tutto. Non voglio più che quella persona abbia alcun rapporto con me e con mio figlio. Tornerò in Africa dai miei genitori, con mio figlio e con la voglia di ricostruirmi una vita”.



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