C’è un Oceano di leggende e una leggenda sull’Oceano. Un pianista per l'appunto. Dicono suoni molto bene, artista pallonaro. I più informati son sicuri, viene dalla Bosnia. “Aspetta, ma non è nato su una nave?”. Altre voci, c’è che si confonde. Forse era Novecento? Filmone con Tim Roth, quello quello! Com’era? TD Lemon, no? Ecco lui, preso! Quello che sapeva “leggere la gente”. Quello che accendeva “sigarette” con le corde di un pianoforte. Leggenda, sì. Ma quello era il Pianista sull’Oceano.
All’Olimpico, invece, ce n’è un altro niente male. Stesso soprannome, Pianista. Ma le corde che tocca sono altre. Quelle vocali, soprattutto. Perché dopo i suoi gol si grida eccome. Quelle del cuore, infine. Emozioni e pathos. Eccolo lì, è Miralem Pjanic detto "Mire". “Jugadorazo” direbbero in Spagna. E il significato lo capirebbe pure lui, fidatevi. Perché Pjanic parla minimo 6 lingue. Italiano, francese, inglese e boh. Tante tante. Un poliglotta del pallone, ieri in gol anche contro il Chievo. In doppia doppia” per rubare un termine dal Basket: 12 reti stagionali, 11 assist. Chapeau. Stagione record. Anche lui, poi, reduce da un’infanzia difficile come quel Novecento di cui parlavamo.
Da Pianista a Pianista. Da fantasia a realtà. TD Lemon fu trovato su una nave. Miralem, invece, in quel contesto ci si è trovato proprio in mezzo. Guerre, bombe, Jugoslavia ragazzi. Polveriera balcanica che da lì a poco sarebbe implosa. Soluzioni? Una: scappare. Via in Lussemburgo con papà Fahrudin e mamma Fatima. Servono i documenti però, le autorità rifiutano. Poi il piccolo Mire si mette a piangere di fronte alla dogana impietosendo i controllori: “Va bene, ecco i pass, lo facciamo solo per il bimbo”. E così fu, liberi e vivi. Soprattutto vivi sì. Lussemburgo quindi. Qui Pjanic capisce che il suo calcio ha qualcosa in più, specie quando suo padre lo vede palleggiare in garage a notte fonda: “Pensava che qualcuno fosse entrato in casa nostra. Poi mi vide con la palla e capì che avevo qualcosa di speciale”. Da lì a qualche anno lo capiranno tutti.
Tappa in Francia, gli inizi col Metz. Destinazione scelta “perché da lì era uscito Pires”. Perla, fenomeno, luce vera. I primi allenatori ne restano estasiati. “Il calcio mi ha salvato la vita” sussurra Miralem, umile e sincero. Pensando a quella Bosnia che anni dopo porterà al Mondiale tra le lacrime. Banda di fratelli dal passato burrascoso, felici insieme. Nel 2008 sbarca a Lione per una grande chance. “Inizi difficili, poi però…”. Però? Gemme e magie, forse il Pianista nacque lì, accanto al Maestro Juninho. Suo punto di riferimento: “Mi allenavo con lui a calciare le punizioni”.
Niente male. Per capirci: è come se un aspirante cestista si allenasse con Kobe Kryant a infilare canestri uno dopo l’altro. Beh, fate voi. Il talento di Pjanic c’era già, poi con Juninho si è affinato ancor di più. Anzi, Juni. Come lo chiamava lui. Semplici soprannomi. “Checco” sta per Totti, un altro che “ogni tanto le punizioni gliele lascia calciare”. Ora la Roma, il futuro “si vedrà”. Miglior stagione della sua carriera intanto, Spalletti se la gode. Idem Miralem, col figlioletto che calcia palloni imitando papà.
Pjanic, Giotto, Piccolo Principe. Emblema di quel giocatore un po’ discontinuo ma delizioso. Elegante nei gesti, tranquillo. Il tipo che se "ha palla lui qualcosa combina". Ogni tanto anche lezioso, roba da arrabbiarsi. Il tempo di uno strillo e lui che fa? Risolve, semplice. Anche con gran classe. Sbalordendo platee e toccando corde irraggiungibili. Perché se c'è un Oceano di leggende e una leggenda sull'Oceano, allora, per par condicio, c'è anche "Mire" Pjanic: l'umile Pianista che canta sull'Olimpico.