Dai calci ad un pallone di cuoio sui campi di provincia all'impresa sfiorata in Serie A ai tempi del Perugia, poi gioie e dolori da allenatore: una vita spesa inseguendo un pallone, quella di Pierluigi Frosio. Liberamente elegante, ma anche elegantemente... libero.
Un ruolo, questo, ormai finito nel dimenticatoio, in un calcio in cui un fuorigioco viene stabilito dalle linee del VAR. Allo stesso tempo, un ruolo che ha esaltato le carriere di chi, come Frosio, giocava dietro la linea della difesa, chiamava le marcature e dettava i tempi. Liberi di essere sempre al centro del gioco, difensivo e offensivo.
Una vita spesa ad inseguire un pallone, sui campi di provincia italiani, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, anni in cui le favole delle piccole potevano anche diventare realtà. Come quella del Cesena, che raggiungeva la prima storica promozione in Serie A.
Anche, però, infrangersi sul più bello, come un'onda che sbatte sugli scogli: Pierluigi Frosio ha guidato, da capitano elegante qual era, il "Perugia dei miracoli" all'impresa sfiorata nella stagione 1978/79. Tre punti impedirono al Grifo di vincere quello scudetto, ma quella squadra è rimasta impressa nella memoria della Serie A: gli imbattuti, per la prima volta. E poi la storica qualificazione in Europa.
Dieci anni a Perugia da calciatore, poi sempre in Umbria i primi passi da allenatore. Il calcio come bussola guida, per Pierluigi Frosio. Tante piazze, gioie e dolori ma ricordi nitidi in ogni tifoseria.
L'Atalanta, allenata nel 1990/91 - con il lutto al braccio nel match contro la Fiorentina della 26ª giornata di Serie A -, ne è la dimostrazione. Libero, anche in questo caso, di essere visionario ma elegante, in ogni cosa che faceva.
Libero di essere elegante, semplicemente. In campo e fuori.