Venticinquemila spettatori e il loro silenzio assordante. Un gol che ha il sapore di riscatto, ma non di vendetta. Matteo Pessina spinge il Verona a quota 4 punti in classifica, segna l’1-0 contro il Lecce e gela il Via del Mare ad appena sette minuti dal suo ingresso in campo. Soprattutto, rinuncia a celebrare il primo gol in Serie A della sua breve carriera: i 159 minuti trascorsi nel 2015 con la maglia giallorossa sulle spalle sono stati sufficienti perché Matteo decidesse questa sera di non esultare.
Arrivato a Verona appena una settimana fa, la carriera di Pessina nelle ultime tre stagioni è stata un’ascesa continua. Prima il Como, in Serie C, e il Mondiale Under 20 da protagonista nell’estate 2017. Poi lo Spezia in Serie B e i preliminari di Europa League da titolare con la maglia dell’Atalanta. Lo scorso anno, infine, l’esordio in Serie A e il quarto posto conquistato con Papu Gomez e compagni. Prima di tutto, però, la sfortunata esperienza con il Lecce, dove Pessina arrivò in prestito dal Milan dopo il fallimento di quel Monza che l’aveva lanciato tra i professionisti.
Il primo giorno di Matteo nel Salento risale al 10 agosto 2015. L’ultimo, invece, al 18 gennaio dell’anno dopo: per Pessina a Lecce c’è poco spazio, il Milan lo gira al Catania con l’obiettivo di rilanciarlo. Risultato? 45 minuti in casa contro l’Ischia, poi niente più. Quattro presenze in un anno per Pessina, un amaro terzo posto per il Lecce di Braglia, per la quarta volta consecutiva incapace di centrare l’obiettivo-promozione.
E pensare che, da quel momento in poi, tutto sarebbe cambiato. Como, Spezia e Atalanta per Matteo. La presidenza di Sticchi Damiani, l’arrivo di Liverani e due promozioni consecutive per Mancosu e compagni. Si sono reincontrati da avversari quattro anni più tardi e proprio Pessina ha condannato i giallorossi all'ultimo posto in classifica. Insieme, dal buio della C all’emozione della prima volta in Serie A: quella davanti ai propri tifosi, per il Lecce, quella del pallone in fondo alla rete per Pessina. Un crescendo di pari passo, sì, ma di due rette parallele. Destinate, come vuole la matematica, a non incrociarsi mai.