Da Piacenza a Piacenza, la perfetta teoria del ritorno dell’eguale. Che, poi, in realtà non è che ci sia molto di teorico. E’, almeno per buona parte, una questione di cuore, del si ritorna sempre dove si è stati bene. “Mi piace paragonare la mia carriera ad un cerchio, che a fine stagione si chiuderà definitivamente. Qui ho fatto tutto il settore giovanile, ho esordito in Serie A. Questa maglia per me è una seconda pelle. D’altronde, il primo amore…”. Asserisce in tono convinto, ma comprensibilmente nostalgico, Luca Matteassi. A Piacenza meglio noto come il Capitano (c maiuscola, d’obbligo)… “Anzi ora già mi cominciano a chiamare direttore! Sarà bellissimo, ma adesso penso soltanto a godermi queste ultime domeniche in campo”.
Partiamo da lontano, da una trentina di anni fa… “L’immagine è quella di un bambino che giocava a calcio sotto casa e faceva casino, così spesso i vicini si andavano a lamentare dai miei genitori. Ma io dal pallone non mi staccavo davvero male, ci andavo anche a dormire la notte”. Perché se vuoi tanto una cosa, alla fine – in qualche modo – la ottieni. Sudore, sacrificio e determinazione. Non servono altri espedienti. E Matteassi voleva soltanto una cosa. La desiderava così tanto… “Che a 11 anni ho lasciato la mia Grosseto per andare nel settore giovanile del Milan. Se potessi tornare indietro, non so se lo rifarei. E’ stato un anno difficile, ero troppo piccolo. A distanza di anni posso ammettere che aveva ragione mia mamma”. Che, chiaramente, come tutte le mamme con premura e affetto aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo dall’allontanarsi così tanto da casa. “Io però, sbagliando, fui categorico: ‘mamma, o mi lasci andare al Milan o non ti parlo più’. Oggi che ho due bambine e se mi mettessero davanti ad una cosa del genere mi comporterei esattamente come mia madre, al tempo, si era comportata con me”. La sincerità di chi crede in certi valori, ma soprattutto il gioco della vita che muta i protagonisti, ma lascia invariate prospettive e situazioni. Cosicché noi un domani potremo capire ciò che qualcuno ci dice oggi. Un moto perpetuo e infinito.
Infinito come quelle giornate nel collegio di Lodi: Messa, allenamento, compiti. “Abitavo con bravi ragazzi come Corrent, Daino e Maresca. Il ricordo particolare è che la mattina, prima della scuola, almeno due o tre volte alla settimana dovevamo andare alla Messa. Un giorno, preso dal ritardo, sono andato direttamente a scuola senza prima passare in Chiesa. Il pomeriggio passa a prenderci il pullman per portarci agli allenamenti, ma a me non fanno salire. ‘La punizione per aver saltato la Messa!’. Ci rimasi male, ma nella vita tutto serve”. Perché è nei momenti nei quali pensiamo di aver buttato del tempo che ci rendiamo poi conto di aver imparato più cose: nuove zone dell’io, insegnamenti per il futuro. L’espressione tempo perduto è forse uno dei più grandi ossimori della società contemporanea, tutta incentrata sulla ‘profittizzazione’ dell’agire.
Una vita in giro per l’Italia, Matteassi. “A parte Novara dove sono stato per quattro anni, in una stessa squadra ho fatto massimo due stagioni. E’ così, noi calciatori siamo nomadi”. Una weltanschauung precisa, improntata su una sesquipedale calma: virtù di chi è in grado di affrontare tutte le sfide che la vita gli pone dinnanzi, senza lamentele o polemiche. Il perfetto opposto – tanto per render l’idea – dell’amecania, molto cara a taluni poeti greci. “Dopo l’anno alla Pro Belvedere Vercelli sono stato costretto a ripartire dall’Eccellenza, non trovavo squadra. Interi pomeriggi in simbiosi con il telefono che però non squillava. E’ stata dura, come quando ti senti messo da parte. Ma nella vita mai mollare e soprattutto mai perdere la pazienza”.
E, fra pochi mesi, dopo anni e anni l’amata corsia destra perderà uno dei suoi più fedeli scudieri… “Da esterno basso a esterno alto, ne ho fatti tutti di ruoli. A Verona giocavamo 3-4-3 quindi facevo la riserva di Oddo da una parte e di Camoranesi dall’altra, mica male. Con Mauro abbiamo passato tanto tempo insieme, se non lo conosci può sembrarti un tipo strano invece è un ragazzo squisito”. Avventure, amici, maglie: compagni di viaggio. Un viaggio lungo, bello, fatto di ricordi. Ma nella vita, Luca, ne finisce uno e ne comincia sempre un altro… “Penso tante volte a quella che sarà la mia ultima partita. Magari piangerò o sorriderò, non lo so. Mi mancherà il campo, il rumore dei tacchetti, la partita della domenica, tutto. Poi quando ti avvicini alla fine certe cose che prima dai per scontate, le apprezzi di più. Voglio ringraziare la società che, dopo il conseguimento dell’abilitazione, mi affiderà il ruolo di direttore sportivo. Sono molto motivato ed estremamente orgoglioso perché significa che Piacenza ha apprezzato non solo il Luca Matteassi calciatore, ma anche il Luca Matteassi uomo. Sono carichissimo e motivatissimo…devo soltanto spiegarlo a mia moglie! (ride)”.
Il sorriso di chi ha dato tutto e ora si rimette in gioco. Perché probabilmente è vero: l’essenza della vita è nel percorrere un sentiero prima inesplorato, nella nuova esperienza. Quella stessa che, magari, all’inizio un po’ ti spaventa, ma poi ti gratifica. Apprezza la tua semplicità, omaggia il tuo averla scelta a discapito di quella tanto sicura quanto grigia...