“Ed è il pareggio! Di nuovo Rossi! Di nuovo Rossi!” esplodeva Nando Martellini, storica voce dei Mondiali 1982. In realtà quello era il 3-2, ma Nando non ci sentiva più: l’emozione era tanta, troppa, e aveva perso il conto.
Ma non era importante. Paolo Rossi aveva trascinato l’Italia intera più vicina a un sogno impensabile. Lui, convocato tra le polemiche dopo 2 anni di squalifica. Lui, a secco fino a quella partita, criticato dai media ma sempre protetto dal CT Bearzot. "Io a lui devo tutto, senza di lui non avrei fatto quel che ho fatto", dirà l'attaccante. Ma, forse, anche Bearzot deve qualcosa a Pablito.
Già, Pablito. Un nome entrato nell'Olimpo dopo i Mondiali spagnoli, ma coniato ben 4 anni prima, nel 1978, quando un giovane attaccante del Lanerossi Vicenza aveva deciso di rubare la scena a tutti prima in Serie A e poi in Argentina. 24 reti (e titolo di capocannoniere) in campionato, 3 in 6 partite con al Mondiale tra Mar de la Plata e Buenos Aires.
Un nome che è rimasto nei cuori di un'Italia che, forse, mai come allora aveva bisogno di eroi a cui aggrapparsi. E chi meglio di lui? Chi meglio di un ragazzo qualunque, cresciuto nel calcio di provincia, capace di rialzarsi dopo una squalifica di 2 anni quando nessuno credeva più in lui?
Quel "pareggio", per dirla alla Martellini, sarà il trampolino di ri-lancio per la carriera di Pablito, che si porterà a casa Mondiale (vinto da capocannoniere) e Pallone d'Oro, il primo (e unico, fino a Ronaldo nel 2002) a riuscirci. E la sua leggenda resta immortale nei racconti delle generazioni che l'hanno vissuto: per loro, sarà sempre Pablito Rossi, El hombre del partido, il simbolo di un'Italia che aveva finalmente trovato il proprio eroe.