Il parco (o cortile) dei suoi divertimenti si trovava a 400 metri da casa: lo stadio dell’Ajax. Ma spesso ‘Jopie’ - così lo chiamava mamma, addetta alle pulizie nel club di Amsterdam - preferiva la strada, locus amoenus dove perfezionare il controllo di palla e la tecnica “facendo urtare il pallone contro il marciapiede”. Quello il luogo dove ha imparato a cadere e sbucciarsi, farsi male. Rialzarsi. Anche da tonfi bruschi e inaspettati come la perdita di papà Hermanus Cornelius Cruijff - fruttivendolo che portava ceste di frutta fresca ai calciatori dell’Ajax quando si vinceva - a soli 12 anni.
Lo sguardo birbante era in perfetta sintonia con la vita che sognava da bambino: “Il pallone è il mio ossigeno. Respiro calcio e mi diverto… facendolo”. Ma il punto era proprio questo: farlo come diceva lui, come solo lui sapeva fare. In allenamento correva a testa alta senza mai guardare la palla, il no-look gli veniva e basta, abbastanza naturale. Con la coda dell’occhio destro controllava il movimento delle sue gambe, con l’altro studiava quelle dei compagni, degli avversari. “Non è necessario correre tanto. Il calcio è gioco. Un gioco in cui si deve usare il cervello”. E Johan sapeva sempre come e dove stare. Quando: nel momento giusto. Un visionario? Forse. “Avevo la capacità di immaginare quello che sarebbe capitato dopo” è la sua stessa ammissione di colpa. Giocava come se non avesse mai dovuto sbagliare ma non si sorprendeva troppo quando accadeva per davvero. Perché sì, capitava anche a uno come lui, apparentemente immortale. La novità che ha rivoluzionato il calcio europeo sta nello scopo che Johan aveva in testa e trasformato in fatti concreti, successi, tanto da giocatore quanto da allenatore: “Bisogna divertirsi, giocare semplice e divertirsi. Perché fare un passaggio di 40 metri quando 20 sarebbero sufficienti?”. Da un mondo tutto in bianco e nero allo spettacolo dei colori: Johan Cruijff ha portato l’arcobaleno, con l’arancione della sua Olanda e il blaugrana del Barcellona in bella vista.
Tre soprannomi già storia: olandese volante, tulipano d’oro oppure ‘flaco’. Primo vincitore di tre palloni d'oro. Una lingua tutta sua anche fuori dal campo, ripresa pure in Olanda: i “Cruijffiaans” sono tutti coloro che parlano senza una grammatica precisa, a suon di frasi fatte e detti. “In un momento dato” era il classico dei classici, diventato pure il nome di un documentario sulla vita di Crujiff in Spagna. Un tipo dai principi chiarissimi: libertà e collettivismo quasi due comandamenti. Viveva in piena Barcellona ma non concedeva interviste in catalano, nonostante lo parlasse fluentemente: “Non voglio dare vantaggi. Voglio che sia lui a sforzarsi per capirmi”. Un po’ come in campo: tutti al suo ritmo, sempre se ci riuscivano. Altro aneddoto, tanto per farvi capire il soggetto: battezzò il suo terzo figlio con il nome di Jordi, in onore al patrono della Catalogna, San Jordi. E quindi? Peccato che in Spagna fosse proibito dal 1977 per volontà di Francisco Franco. E per poterlo iscrivere regolarmente Johan dovette viaggiare fino ai Paesi Baschi. Poco prima del Mondiale ’74 firmò un contratto commerciale con Puma, rivale dell’Adidas e sponsor della (sua) Nazionale oranje. E quanto fece Cruijff lasciò di stucco un mondo intero: per non vestire la maglietta incriminata nel corso della competizione, tolse una delle tre abituali strisce dell’Adidas alla sua (solo sua!) numero 14. Un numero divenuto icona, simbolo, l'incarnazione dell'ennesima rivoluzione: per la prima volta un numero che non fosse dall'1 all'11 indicava un calciatore. Vero strappo alla regola, per lui dovuto. Numero divenuto ispirazione per cartoni che hanno fatto la storia come 'Holly e Benji'. Un numero: la leggenda di Johan Crujiff.
Ribelle? In parte. “Questa parola non ha una buona fama, ma a me piace. Se le si dà il giusto significato”. Ribelle come coloro i quali vogliono cambiare le cose. “Questo sì. Ecco”. Rivoluzionario del e nel calcio con due esempi pratici subito a portata di mano: il calcio totale dell'Olanda '74 oppure il Barcellona 'Dream Team', solchi nella storia. Uomo di parola che scelse il Barcellona e non lo tradì per nulla la mondo, nonostante un tentativo del Real proprio last-minute. Fumatore incallito: "Uno dei miei pochi vizi", l'altro era il calcio. Non gliene fregava nulla che la gente sapesse, lui si accendeva una Camel anche tra un tempo e l'altro della partita. "Un giorno stava fumando in autobus. L'allenatore Rinus Michel prima lo vide, poi gli si avvicinò. Johan nascose la sigaretta in tasca ma passati due minuti... si bruciò la mano!" raccontò il compagno Sjaak Swart, attaccante dell'Ajax dal 1956 al 1973. E quando gli dissero di smettere sì o sì per motivi di salute... lui sostituì le sigarette Camel con i più sani Chupa-chups. Ma non è bastato. Il male ai polmoni è piombato su di lui a gamba tesa, senza lasciargli spazio: "Sto battendo il cancro 2-0" ammise fiducioso qualche mese fa Johan. Era solo il primo tempo. E' finita 2-3 proprio oggi. Ma è finita come lui avrebbe voluto: con spettacolo, divertimento e gol.