La decisione peggiore nel momento più delicato. L'intenzione più amara e discussa in un mare albiceleste, neanche troppo misteriosamente, in burrasca. "Leo nos quita, ya. Jamas serà tan grande como Diego": da Buenos Aires a Cordoba, da La Plata a Rosario, il ritornello comparativo di undici anni di seleccion, in rima con il nome del più grande di sempre, torna sulla bocca di tutti ad alto, altissimo volume.
Fracaso, direbbero da quelle parti. E dita, occhi e telecamere puntate solo in una sola direzione: quella del Diez. Davanti all'ennesima finale persa, la 4° in 113 partite giocate con la maglia dell'Argentina, Lionel Messi ha deciso di chiudere il capitolo nazionale: parole pesanti, di pancia, direttamente proporzionali ad una delusione che, stavolta, la Pulga sembra proprio non aver retto. In mezzo al terreno di gioco del MetLife Stadium, guardando gli avversari alzare la Copa, Leo ha dimostrato che anche gli extraterrestri possono essere umani: sguardo perso nel vuoto, lacrime quasi mai viste prima e mostro del pallone più vulnerabile che mai, in una delle peggiori serate sportive di sempre.
Mancava solo questa, davvero, per dare ulteriore linfa ad un'ossessione sempre più viva. Perchè se esiste un'edizione del torneo in cui l'Albiceleste e Messi hanno più che impressionato è proprio quella del Centenario: record di gol di Batistuta superato e aggiornato a quota 55, vittorie secche e meritate sino alla final. Dove tutti aspettavano Leo e la Copa, 23 anni dopo: e dove Messi, davanti all'altare della gloria nazionale, ha sentito tremare ancora le gambe. Rigore calciato alto, verso dove uno come lui può solo tendere, rivelatosi uno dei momenti più bassi della sua carriera, in un ossimoro che nel libro dei ricordi blancoazulgrana non dovrebbe mai trovare spazio.
Eppure, è andata così: ma mai e poi mai, in questo momento, si può e si deve dire basta. Messi ha trionfato in un contesto costruito ad hoc attorno a lui, in quel pianeta Barça sul quale ha raccolto ogni possibile successo: ora, da vecchio prescelto in Seleccion a 18 anni e con tante stagioni ancora davanti, deve dimostrare di poter essere decisivo fino in fondo anche davanti agli occhi di un paese che mai, rispetto al mondo blaugrana, ha saputo amarlo tanto follemente. Quanto chi, al momento, occupa ancora gran parte del cuore del popolo argentino...
Il nome di Maradona, in fondo, è sempre lì: tra modello e tormento, carezze e accuse. Fonte di ispirazione, allenatore (senza grande esito) al Mondiale 2010 e prima ghigliottina senza pietà sulla testa di chi Diego, nientemeno che davanti a Pelé, ha definito "senza personalità". L'unica soluzione? Smentire tutti, sul campo. Ritirarsi ora, sul più brutto, non farebbe altro che versare altra benzina su fiamme già alte, alimentando i dubbi su una forza mentale che spesso, per Messi, si è rivelata ben più debole rispetto a quella tecnica.
Le occasioni non mancheranno: Mondiale 2018 in Russia alle porte e altra Copa America nel 2019, in Brasile, per non ritrovarsi in bacheca un solo mondiale under20 ed un oro alle Olimpiadi di Pechino in albiceleste. Per andare avanti, Leo non può scordarsi che mollare senza averci provato fino in fondo non avrebbe alcun senso: a maggior ragione per uno come lui, da sempre caricato di mille aspettative e con una voglia di vincere unica. #NoTeVayasLeo, il web ha già scelto: in fondo, quelle decisioni di pancia possono essere ancora sovvertite da una fame di successi con la Seleccion. Per un'avventura albiceleste che, almeno per ora, non può finire con un digiuno.