Se pensate che la chiave stia, per induzione, solo nel titolo, vi sbagliereste di grosso. "Non guardare la palla" è sì un monito ad osservare a 360º ogni singolo dettaglio relativo al mondo del pallone, ad un campo di calcio e ad ogni azione pronta a prendere vita, ma anche (e soprattutto) ad usare… la testa. Da ogni punto di vista.
Alla cattedra c'è Ruud Gullit, accompagnato dal suo manoscritto appena sfornato e presentato: di fronte, un centinaio di persone colme di curiosità ed interesse. Pendenti dalle labbra di un campione che figura ormai ben diverso fisicamente rispetto alla copertina del vero protagonista della serata, ma che a livello di ABC calcistico, concetti, racconti ed aneddoti speciali riesce ad affascinare ancora come ai tempi dei baffi e delle treccine su sfondo rossonero. Scrivere per dare un punto di vista personale su quella che è stata (e continua ad essere) la sua vita da anni, spostatasi dal campo al commento televisivo: non guardando (solamente) la palla, ma raccontando anche tutto ciò che le ruota attorno. Un po' come la terra e i pianeti, in una galassia del calcio che Gullit, con un successo dietro l'altro, ha ampiamente esplorato.
A lezione da Ruud: da un apprendistato di tecnica, su come colpire un pallone e distribuirlo con precisione ai compagni, a come cambiare ruolo, da ala a seconda punta nel 4-4-2 Sacchiano, ricordando le ostiche trasferte di Verona e i grandi successi con il Milan. E se per lui, di fronte ad ogni cross effettuato, la priorità restava piazzare il pallone esattamente sulla testa dei compagni, ecco come proprio la questione... di testa (o meglio, mentale) passi immediatamente sopra a tutto e tutti: gestirsi psicologicamente in primis, con il rispetto per tutti a dover prevalere sull'amicizia, ai conflitti nello spogliatoio, rimasti sempre tra le mura di ogni squadra in cui ha giocato. Tranne in un'occasione, con Capello, per una storia menzionata anni dopo da Don Fabio (all'epoca al Real Madrid) come esempio di segreto mai svelato: il rischio di venire alle mani ed il decisivo placcaggio di Rijkaard, per dettagli mai emersi nell'immediato.
Discorso a cui Gullit ha voluto collegare anche il rapporto particolare di un calciatore con la stampa, tra sorrisi e ricordi di varie incomprensioni: "Quando andai in sede in via Turati vidi una foto di Rivera, con sullo sfondo due poliziotti. Pensavo fossero inglesi, per il tipo di divisa, invece mi dissero che erano italiani. E il giorno dopo i giornali titolarono sul mio non riconoscere Rivera…". Episodio analogo ad una richiesta sull'eventuale possibilità di diventare capitano del Milan dopo Baresi, raccontata sempre in maniera divertente: "Mi chiesero se mi sarebbe piaciuto, per poi dire che volessi la fascia…". La protezione della propria privacy come chiave per restare in piedi anche di fronte ad interventi duri o insidiosi, un po' come in campo e con "incubi" come Vierchowod: "Ai nostri tempi dovevi saltare per evitare gli interventi perché facevano male: una volta Passarella saltò con il gomito alto proprio a mirare la mia faccia…Ora si è tutti molto più protetti dalle telecamere".
Prima di concedersi a foto e autografi, c'è anche tempo di rivivere per un attimo l'esperienza inglese, con una piccola e divertente frecciatina al nostro calcio: "In Inghilterra era molto più facile, il livello non era come in Italia e c'erano ritmi diversi, molto più tempo libero: qui amate così tanto i ritiri, non so perché…(sorridendo)". Provare lo stesso sentimento con quel calcio e quei tempi, invece, risulta automatico: storie di nostalgia, di campioni pazzeschi, di tempi lontani ma contemporaneamente vicini. Grazie anche a chi, non guardando la palla, ha saputo estrarre dal calcio ogni peculiarità vissuta anche fuori dal campo. Portando tutti a lezione…da Gullit.