Parola chiave, grazie. “Mek”. Che nella sua lingua sta per ‘amico, persona di cui mi posso fidare’. “Giusto!”. La porta si apre, e Michel Morganella ci fa entrare nel suo mondo, fatto di capigliature stravaganti e tatuaggi, tantissimi tatuaggi, che per raccontarli tutti "servirebbe un’altra intervista". Michel Morganella, ricordate no? L’esterno del Palermo, che a Palermo (oltre 100 partite e una promozione in A con Iachini in panchina, allenatore "con cui ho vissuto il mio momento migliore") ci ha lasciato il cuore nonostante il finale non sia stato "quello che sognavo”. Voltiamo pagina. E adesso? “Gioco nel Rapperswil-Jona, a poco più di tre ore da casa!”.
Serie B svizzera. I motivi della scelta sono da sottolineare in rosso. “E’ come se la mia carriera ripartisse da zero. Ho deciso di venire qui per ritrovare il ritmo giusto, dimostrare a tutti che Morganella è ancora vivo. Ce la metterò tutta. Ho tanta, tanta voglia di giocare a calcio, perché questo sport è la mia vita”. Il (doppio) brutto infortunio al ginocchio è ormai un vecchio ricordo lontano, anche grazie all’affetto delle persone che gli vogliono bene. “Ok, i problemi della vita sono altri, di certo non il calcio. Quindi io ho sempre affrontato i momenti negativi con il sorriso. Poi ovvio, fondamentale è stato il supporto di chi non mi ha mai fatto mancare nulla come i miei genitori, mia moglie, la mia famiglia, i fratelli, il mio agente Mauro”.
Michel spiega meglio. “Praticamente un anno fa mi sono rotto i legamenti ma già a fine aprile stavo bene. Avevo completamente recuperato. E voglio chiarire una cosa: durante l’ultimo mese della mia esperienza al Palermo sono stato io a rifiutare di scendere in campo. Perché avevo il contratto in scadenza e se mi fossi fatto male sarebbe stato un rischio troppo grosso per il mio futuro. Non avevo garanzie. Ma fisicamente, io, stavo bene e sto bene”. Questo dettaglio, forse, qualcuno non l’ha colto. Ecco perché “non mi ero mai trovato a settembre senza una squadra”. Il fisico, c’è. La testa va a tremila, pensa in 4 lingue (francese, italiano, tedesco, inglese) e guarda al futuro. “Ho 29 anni ma sento di avere dentro di me ancora 5 anni di calcio a buoni livelli".
Il Morganella che ti piace di più? “Quello con la barba lunga e la cresta in testa. Anche se a mia moglie, questo look, non piace molto”. Un retroscena sulla barba. “La prima, quella lunga lunga, è ‘nata’ quando mia moglie ha annunciato di essere incinta. E me la sono tenuta per 9 mesi! Per la seconda figlia ho fatto uguale”. Adesso Michel è più signorino. “Ho la barba corta e un baffo dorato. Ma sto lavorando a una nuova cresta”. Testardo. Come in amore. Perché quando si mette in testa qualcosa non c’è verso.
“Io e mia moglie, Johanna, ci conosciamo da quando siamo piccoli piccoli. Abitavamo a 2 chilometri di distanza! Poi ci siamo fidanzati quasi subito, quando io avevo 14 anni e lei 15. Siamo legatissimi. E sai che c’è? Il 10 gennaio festeggiamo 14 anni di vita insieme”. La famiglia di Morganella, comunque, è calcio-dipendente. “Mia sorella, campionessa di ginnastica artistica, ha giocato in B femminile. I miei due fratelli hanno smesso per infortuni ma allenano entrambi nel Sion. E papà faceva il portiere”. Il sogno realizzato? “Era anche quello di mio padre (che è italiano), ossia giocare in serie A. Ci sono riuscito. Ho sfidato campioni assoluti e in certe partite l’adrenalina e la pressione erano impressionanti. Ma io cercavo sempre di ricordarmi che alla fine siamo tutti uguali, con i nostri pregi e i nostri difetti. Certo, quando mi sono trovato Ibrahimovic davanti un po’ mi sono spaventato ma l’importante era non perdere la calma”.
L’esordio in Champions se lo ricorda come se fosse ieri. “Dicembre 2008. Basilea. Nevicava, meno tre gradi. Contro lo Sporting Lisbona. Avevo delle Vapor in carbonio rosse con il numero 4 stampato che erano la fine del mondo. Ah, il pallone di quella partita me lo sono portato a casa”. Regalino. Collezionista di maglie lo sei? Più o meno. “Ne conservo tante nel cassetto: Del Piero, Shevchenko, Pato. Anche se, generalmente, ho sempre cercato di ’scambiarla' con amici o persone che conosco. Ad esempio Lichtsteiner in un Palermo-Juventus. Ma chi non vorrebbe avere quella di Cristiano Ronaldo?”.
'Pensa se non avessi fatto il calciatore’ è la nostra provocazione. “Probabilmente avrei scelto fra aprire un lounge bar e lavorare in un qualsiasi giro di macchine. Dico il bar e non una discoteca perché a me piace l’ambiente in cui si parla, dove ci si conosce e ci si può confrontare. E ovviamente bere qualche drink. Il bar è il mio posto ideale. La passione per le macchine invece nasce da lontano, da piccolo, per dire, ci giocavo sempre. Poi quando sono diventato un calciatore professionista sognavo di comprarmene una ‘americana’ e alla fine, col tempo, ce l’ho fatta”. Tutto orgoglioso, ci elenca il suo garage. “Una 500, una 126, una Mustang, una Cadillac e una Chevrolet Impala del ’63. Amo provarle, guidarle, godermi la loro bellezza”. Neanche fossero belle donne.
Ma di calciatori forti, Michel, se ne intende. Ha giocato insieme a tanti campioni, tutti passati per Palermo. 'Se ti chiedessi un solo nome, il più forte?'. Michel non ce la fa proprio. “Te ne dico almeno due. Almeno. In primis Cavani: top player assoluto. Ricordo che a Palermo aveva un atteggiamento, un carattere, una voglia impressionante. Edi era ed è un esempio per tutti. L’altro è Dybala. Paulo è un fenomeno che può crescere ancora tanto”. Con l’attaccante uruguaiano ora al PSG è ancora in contatto. “Si! Ci sentiamo qualche volta, anche se adesso è dall’altra parte del mondo”.
Esagera, Michel. E non dimentica gente come Pastore, Ilicic, Vazquez, Hernandez anche se “io mi trovavo da dio soprattutto con i sudamericani, facevamo grigliate di altissimo livello”. Adesso però la testa è al campo, anche perché delle grigliate non è stagione. Morganella riparte dalla B svizzera e punta a tornare in alto, con una parolina chiave in testa. Quale? Quale se non ‘Mek, Mek'. Che, nella sua lingua, sta anche per 'divertimento'.