25 anni, come condensarli in poche righe? Come racchiuderli in una notte, la notte più lunga di Claudio Marchisio, la notte prima dell’addio alla Juventus. Principessa, se davvero lui è stato un principe. E il comportamento dentro e fuori dal campo, lo stile non soltanto di gioco, gli attestati di stima e la sua storia, dicono che è stato così.
25 anni di amore, di una maglia diventata una prima pelle e non una seconda: Marchisio e la Juventus, una delle ultime storie romantiche del calcio. Un amor cortese che ricorda le liriche e i romanzi medievali, laddove la donna era messa al di sopra di tutto: un po’ come la maglia bianconera per Claudio, che nel suo commiato scrive “amo questa maglia a tal punto che, nonostante tutto, sia convinto che il bene della squadra venga prima di tutto. Sempre”.
“Il bene della maglia”, un concetto sempre più desueto di cui Marchisio si fa baluardo, rendendosi conto che in questa Juventus che viaggia veloce proiettata verso il futuro, posto per lui non ce ne sarebbe più stato. Colpa, probabilmente, di quel maledetto infortunio al ginocchio che ha deviato la sua carriera e dal quale non si è più del tutto ripreso. E questo conta, perché la Juventus ha conosciuto il miglior Marchisio e il miglior Marchisio, oggi, non può essere aspettato dalla Juventus.
Il tempo, oggi freddo sovrano, ma per 25 anni dolce custode di un romanzo, quello tra il numero 8 e la sua Signora, giunto alla fine. Una fine probabilmente provvisoria, perché certe strade sono destinate sempre a ricongiungersi: fianco a fianco per tutte queste stagioni, dai primi calci al pallone di quel bimbo biondo e smilzo che quasi si perdeva dentro la larga maglia col colletto e a maniche lunghe della Juventus. Fino agli anni e alle vittorie con la Primavera e il debutto in prima squadra in una stagione che non può essere considerata normale, quella della Serie B.
Marchisio resiste alla selezione naturale, si conquista un posto negli anni non indimenticabili post risalita in A, dei quali è una nota lieta: il primo gol su assist di Del Piero, con il 19 ancora sulle spalle, è un primo segno del destino. Ne arriveranno altri, splendidi ma non legati a delle vittorie, come quelli contro l’Inter o l’Udinese, con il numero 8, invece.
Poi l’inizio di una nuova era e Marchisio ne è uno degli attori decisamente protagonisti. Gli anni di Conte coincidono con prestazioni esaltanti e prolifiche: adesso i gol contano e portano trofei. Il Principino forma con Pirlo, Vidal e Pogba uno dei centrocampi più forti della storia bianconera: lui ne è quella mezzala “scheggia”, che si inserisce e copre. Imprescindibile per il futuro CT, anche negli anni di Allegri Marchisio conserva la sua importanza: complice l’addio di Pirlo, arretra il suo raggio d’azione e mette al servizio dei compagni non più l’esplosività dei primi anni, ma una sapienza tattica e un’intelligenza superiore. E nel frattempo, si erge sempre più a simbolo della Juventus: sul campo, ma anche fuori, senza mai un comportamento fuori dalle righe o una parola inopportuna. Il DNA bianconero, che i tifosi identificano nello stile Juventus, è perfettamente rappresentato da Marchisio: italiano, piemontese, juventino.
Poi il crack. Quel pomeriggio di Aprile 2016, a risultato acquisito contro il Palermo. Quel giorno non si rompe solo il ginocchio di Claudio, ma probabilmente si spezza un equilibrio fin lì perfetto. La Juventus lo aspetta, lo ritiene ancora importante, ma il ruolo (in campo) di Marchisio è destinato a perdere di grado e centralità. Il percorso di ripresa infatti è lento e le ricadute non mancano. Ciononostante Marchisio resta lì, a lottare anche dalle retrovie e a sfruttare le poche occasioni che gli vengono concesse, è uomo spogliatoio e collante tra passato, presente e futuro.
Le voci su una possibile risoluzione del contratto già in questa estate circolavano da un po’. La notizia arriva nell’ultimo giorno di mercato, di prima mattina. Al termine di quella notte “accompagnata da mille pensieri e mille immagini”. Tra loro tanti sorrisi, esultanze: che il palcoscenico sia stato l’Allianz Stadium in una notte di gala o un polveroso campo di provincia, dopo una sfrenata corsa tra bambini, per Marchisio poco importa. E poi ci sono le lacrime: quelle dopo una sconfitta o l’infortunio. E soprattutto quelle della penultima festa scudetto, rivolgendosi alla curva.
La fascia di capitano l’ha indossata poche volte, quando i mostri sacri davanti a lui riposavano o non erano a disposizione. Ma Marchisio capitano della Juventus lo è stato eccome: discende dagli Scirea e dai Del Piero e parafrasando De André, quando gli chiederanno della Juventus... "un amore così lungo" non ve lo darà in fretta.