C'era una volta l'eterno secondo, quello che in Germania chiamano "l'eterno sottovalutato". Forse perchè non ama i riflettori come molti suoi colleghi, o forse semplicemente perchè lui da secondo a Dortmund ci era arrivato ed era stato pensato come tale. Nel 2002, quando dal Kaiserslautern arriva un giovane 22enne di nome Roman. Aveva 21 anni, pochi, pochissimi. Doveva essere il vice di Lehmann, e così è stato per la prima stagione. Un rimpiazzo, a cui nessuno poteva pensare che sarebbe diventato l'icona di una delle squadre più belle e vincenti del post 2000. Qui è diventato Roman Weidenfeller.
Così piano piano si è preso quel posto da titolare che poi soltanto l'età gli ha portato via. La consacrazione arrivò con Klopp. Ma consacrazione vera, quella che ha fatto diventare Weidenfeller il secondo giocatore nella storia del Borussia Dortmund per partite giocate, solo dopo Michael Zorc, adesso direttore generale dei gialloneri.
Unica mancanza nella straordinaria carriera del portiere tedesco, la mancata vittoria della Champions, sfumata per il gol di Arjen Robben nel 2013 in finale a Wembley. Destini incrociati, perchè nel 2012 fu proprio Weidenfeller a negare all'attaccante olandese del Bayern Monaco la gioia del rigore che poteva riaprire i giochi per il campionato. No, da qui non si passa. Parola (anzi, parata) di Roman.
Così ieri l'ultimo atto, ufficioso. Quello ufficiale era stato a maggio, quando entrò all'ultimo minuto della sfida decisiva (persa) contro l'Hoffenheim. Una fine non degna del più grande portiere della storia recente giallonera. Così, ieri sera, una festa. Solo per lui. Amici, ex allenatori, ex compagni. Tutti lì per rendergli omaggio. Poi, a fine partita, l'ultimo saluto al suo amato muro giallo, con cui nella passata stagione per più di una volta si era fermato a cantare dopo le partite, nonostante l'annata non fosse delle più vincenti, anzi. Un campione, un idolo, un simbolo. Qualcosa che va oltre il semplice affetto tra tifosi e idoli. In due parole: Roman Weidenfeller.