“Never give up”. Ce l’aveva scritto Mohamed Salah sulla maglia con cui ha assistito alla partita dalla tribuna. E l’aveva scritto anche Georginio Wijnaldum sui social il giorno della partita. “Non molliamo mai”. In poche ore, Gini – come lo chiamano dalle parti di Anfield – è passato dalle parole ai fatti, ai gol. Una doppietta in 122 secondi che ha permesso di trasformare la speranza in qualcosa di reale, concreto, dando effettivamente vita a quella che poi è diventata la rimonta perfetta. E che, comunque vada, rimarrà inevitabilmente nella storia come una delle più incredibili della storia del calcio. Anche perché lui non rientrava nel piano partita iniziale di Jurgen Klopp, che dopo la prestazione dell’andata aveva preferito tenerlo in panchina.
L’infortunio di Robertson, però, ha costretto l’allenatore a una scelta. Snaturando nella logica degli interpreti il suo 4-3-3 ha allargato la posizione di Milner e ha inserito l’olandese, che non l’ha deluso. Di piede e di testa ha siglato la doppietta che ha momentaneamente pareggiato i conti, prima che poi ancora Origi non sigillasse la qualificazione. Proprio per questa facilità di conclusione e il dinamismo, Klopp non se ne priva quasi mai, anzi: in più occasioni l’allenatore l’ha impiegato anche da falso centravanti, per mantenere intatta l’imprevedibilità del suo tridente offensivo, che normalmente vede impiegati Salah, Firmino e Mané. L’ha voluto lui al Liverpool, assumendosi la responsabilità di fronte alla società di un investimento da 30 milioni di euro per acquistarlo dal Newcastle (dove è tuttora il terzo giocatore più pagato nella storia del club).
Il suo cerchio si è chiuso. Predestinato, di quelli che il talento non ha bisogno del tempo per venir fuori: divenne il più giovane esordiente nella storia del Feyenoord, il club della sua città natale Rotterdam, con soli 16 anni e 148 giorni. Le grandi cose fatte vedere in Eredivisie avevano attirato subito l’attenzione dei top club europei, tra questi il Liverpool, a cui venne accostato per la prima volta nel 2010. Da allora è cambiato tutto: Wijnaldum è maturato come calciatore, migliorando ulteriormente i tempi di inserimento e quelli dell’ultimo passaggio. Un aspetto, quest’ultimo, che gli veniva contestato ad inizio carriera. “È troppo individualista” si diceva di lui. Eppure, nelle due finali che i Reds disputeranno c’è la sua firma, indelebile. Perché già l’anno scorso fu una sua rete contro la Roma a stoppare le velleità di rimonta dei giallorossi e a inchiodare la squadra di Eusebio Di Francesco a pochi passi dal ribaltone. Si è ripetuto ancora una volta, ma in una cornice epica. Quella che si addice agli eroi, predestinati per eccellenza.