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Data: 13/06/2016 -

Le lezioni di karate e di pianoforte, la passione per la batteria ed un papà come idolo: Celso Borges, il figlio d’arte trascinatore della Costa Rica

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Ringo Starr dei Beatles, John Bonham dei Led Zeppelin, Stewart Copeland dei Police e così via, potremmo andare avanti per ore. Grandi batteristi sì, storia della musica, ma col calcio che hanno a che vedere? Poco, praticamente nulla. Due passioni all’apparenza antitetiche unite, però, da chi come Celso Borges le pratica entrambe: calciatore nella vita ma batterista nel tempo libero. Celso Borges, proprio lui. Giocatore del Deportivo la Coruña e della Costa Rica, figlio d’arte di Alexandre Borges, anch’egli ex giocatore ed ex ct dei ‘Ticos’. E pensare che Celso a papà Alexandre quando era in carica come ct costò addirittura la qualificazione alle Olimpiadi in Cina del 2008 a causa di un rigore sbagliato contro Panama… Acqua passata, ciò che accade in campo non può minimamente ledere il rapporto tra i due, uniti più che mai nella vita di tutti i giorni: “Potrei dire di avere come idoli calcistici Zidane e Iniesta – ha affermato Celso Borges – ma la verità è che il mio unico idolo è mio padre”. Talmente uniti che un certo Miguel Gomez ha deciso di girare su di loro e sul loro legame il documentario “Corre en el sangre”. Storie, sentimenti ed emozioni targate Sudamerica. Una famiglia all’insegna del fútbol ad eccezione del fratello Mauro, di professione regista. “Quando Celso è nato sapeva che sarebbe diventato calciatore”, ha raccontato mamma Lina. Eppure da bambino tentarono di indirizzarlo anche verso il karate ed il pianoforte mandandolo spesso a lezione ma proprio non ne voleva sapere: “Quando andavamo a prenderlo finite le lezioni non lo trovavamo mai e ci dicevano sempre che era a giocare a calcio con gli altri bambini”, continua la madre. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventato calciatore, basso e robusto com’era. Il suo aspetto fisico era spesso vittima delle prese in giro dei coetanei, ma niente da fare: demotivarlo era impossibile. Calcio, calcio e solo calcio. Grazie all’abitudine di giocare coi più grandi forgiò poi quel carattere a base di garra che si rivelò essenziale in carriera. Una piccola svolta arrivò da quindicenne, quando gli venne regalata la prima batteria grazie alla quale la routine cambiò, per modo di dire: allenamenti e batteria, batteria e allenamenti. Niente Calypso Music tipica delle isole dei Caraibi, Rock’n’Roll tutta la vita. Quello vero, quello che fa scorrere l’adrenalina nelle vene. Su Youtube circola anche un video del giocatore mentre interpreta ‘Toxicity’ dei System of a Down: da vedere per un’ulteriore conferma sul talento del giocatore alle prese con lo strumento. Anzi, c’è chi come il suo amico fraterno Renato Coto afferma che con le mani non sappia far altro che suonar la batteria: “Un vero disastro, ai fornelli poi non ne parliamo”. Però coi piedi ci ha sempre saputo fare, eccome. Fino al gol di ieri, quello del 3-1 che ha steso la Colombia, inutile per le sorti del girone ma emblema della determinazione della Costa Rica e del ‘Chel’. O ‘Celsinho’, per le origini brasiliane. Ops, attenzione a non farvi sentire da lui a chiamarlo così perché solo pochi eletti possono conferirgli tale appellativo: “Vuole essere ricordato per il nome, non per il soprannome”, è sempre mamma Lina a spiegare l’arcano, anche se rimane davvero qualcosa di inconsueto per un giocatore sudamericano. Sicuramente, non potrà scrivere nuovamente il proprio nome nella storia di questa Copa America a causa dell’eliminazione prematuro: ma chi lo conosce bene sa che per superare questa delusione sarà già alle prese con pedale, grancassa, piatti e bacchette. E chissà che un domani suonar la batteria possa trasformarsi in qualcosa di più rispetto ad un semplice passatempo per chi nella vita di tutti i giorni svolge semplicemente il mestiere di calciatore. Alberto Trovamala


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