Durmisi parla 4 lingue, si adatta in fretta e odia il calciomercato: “È pericoloso, ti distrae, preferisco concentrarmi su me stesso”. Sicuro di sé. E chissà come avrà reagito dopo aver saputo dell’interesse della Lazio. Meglio pensare alla famiglia, o al suo singolare concetto di felicità: “Mi basta essere in salute e avere il pane a tavola, i soldi contano poco. Mi considero molto fortunato”. Privilegiato. Uno da frasi così: “Se a fine giornata non apprezzi ciò che hai non sei niente, non importa se hai un milione o solo un euro”. Durmisi ha 24 anni ma ragiona da 30enne, di sicuro è più maturo della sua età. Preciso, serio, con la testa sulle spalle, uno che sa quello che vuole. Che ama le persone dirette come Setién.
Particolari che aiutano a capire l’uomo. Oggi è pronto a lasciare Siviglia per 6,5 milioni di euro dopo appena 2 stagioni (arrivò l’anno scorso per 2 milioni, contratto fino al 2021). “Destino” Roma, in valigia 8 assist e 3 gol.
È cresciuto a Ishoj – vicino Copenaghen – suo nonno emigrò dalla Macedonia per trasferirsi in Danimarca. E’ musulmano, ma pratica poco. Quando c'è allenamento niente Ramadan. Infanzia non facile poi. Da ragazzo viveva nella stessa casa insieme ai suoi zii, compresi i 3 cugini: “Solo mio padre aveva un lavoro, potevamo permetterci giusto uno stanza”. Una poltrona per 9 alquanto scomoda. Ora suo padre è in pensione, ma è il suo primo fan, tant’è che ancora oggi si rivede ogni sua partita per analizzare con lui cosa non è andato. Premuroso. Sua madre aiuta gli anziani in una clinica, mentre suo fratello minore gioca nelle giovanili del Brondy: “Spero di diventare il suo esempio”. Brotherhood.
MANCINO AMBIZIOSO
Durmisi corre, dribbla, ogni tanto segna, è un esterno a tutta fascia dal passo alla Lukaku. Meno fisico rispetto al belga, ma fisicamente più affidabile. Punta l'uomo, lo salta e fila via. Velocissimo: “E’ la mia migliore qualità”. Piedi buoni, mancino, tant’è che ogni tanto batte i calci piazzati e lo fa bene. Vedere per credere. Retaggi di un’infanzia da numero dieci: “Segnavo, sono molto tecnico, ma sapevo che per sfondare avrei dovuto giocare sulla fascia”. Realista e pragmatico: “Se non avessi giocato a calcio avrei lavorato in banca, ma ero consapevole che sarei diventato un calciatore”. Fin dal primo contratto col Brondy, in Danimarca, club con cui ha giocato 4 anni: “Mi sono detto “ok, hai talento. Ora lavora!”. Ambizioso: "Diventerò il miglior laterale di Danimarca".
Esterno da centrocampo a 5 o da difesa a 4, anche se lui preferisce la prima opzione “perché gli esterni hanno più potere offensivo”. Insomma, ama attaccare e si è capito. Per intenderci: è un acquisto alla Marusic, arrivato l’anno scorso, un investimento mirato spuntato dal nulla. Il suo primo allenatore lo definì il nuovo Jordi Alba, ma lui ha sempre amato Marcelo. Spinge bene, si inserisce e si propone, nel gol segnato al Siviglia c’è un po’ del suo stile. Come quello del Betis dei miracoli, protagonista di un ottimo calcio, fatto di fraseggi e geometrie senza mai buttare la palla. Il Paradiso del pallone per Durmisi: “Con Setién abbiamo un marchio di assoluta qualità, sono migliorato anche come difensore”. Più disciplinato. Si definisce “sveglio”, anche “attento”, ma deve migliorare tatticamente.
Conosce i suoi limiti e i suoi punti di forza. Ultimo appunto: ha scelto la Danimarca nonostante i suoi genitori siano albanesi, ha disputato l’Europeo U21 e conta 23 partita in Nazionale maggiore. Un punto fermo. Hareide l’aveva inserito tra i 35 pre-convocati per il Mondiale, ma ha virato su altri giocatori. Drumisi non l'ha presa bene: "È la delusione più grande della mia vita". Questione di scelte. La Lazio ha fatto la sua.