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Data: 04/01/2018 -

L’allenatore operaio che vive di calcio: Torino, ecco tutti i segreti di Mazzarri

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Premessa d’obbligo per poter capire al meglio Mazzarri: è più bravo che simpatico. D’altronde lo ha ammesso anche lui: “Sono antipatico perché sono serio”. E proprio della serietà ha fatto il suo cavallo di battaglia. Pochi fronzoli, solo duro lavoro che si trasforma in efficacia. Per questo ha sempre fatto bene quasi ovunque sia andato. Ed è per questo che Cairo lo ha scelto come successore dell’esonerato Mihajlovic sulla panchina del Torino. L’allenatore nato a San Vincenzo riparte dalla Serie A quattro anni dopo l’ultima volta. Il gol del pareggio di Nico Lopez a San Siro sancì la fine della sua avventura all’Inter, la chiamata di Cairo segna il suo ritorno in Italia. Nel mezzo l’esperienza agrodolce in Premier League con il Watford. In quel caso la forma ha prevalso sulla sostanza. La salvezza raggiunta e il record di vittorie a Vicarage Road nella storia degli Hornets in Premier non sono bastati a salvare la sua panchina, saltata, tra l’altro, a causa del suo scarso inglese.

Alle parole però ha sempre preferito i fatti, da sempre. Anche oggi all’arrivo al Filadelfia ha liquidato i presenti con un rapido saluto per mettersi subito a fare quello che gli riesce meglio: lavorare sul campo. Personaggio particolare, a tratti unico. Un allenatore partito dal basso, come ha ammesso lui stesso: “Con la Pistoiese sono stato su un campo che finiva dentro un burrone. Ero l’allenatore operaio: volevo un pallone mi hanno allungato una cazzuola”. Ne ha fatta però di strada da allora. La miracolosa salvezza raggiunta alla Reggina lo ha proiettato nel grande calcio, il Napoli è stata poi la vetrina della sua definitiva consacrazione. Proprio in azzurro ha fatto vedere le cose migliori della sua carriera, tanto da meritarsi un posto nel presepe tanto caro ai napoletani: “A San Gregorio Armeno si sono accorti di me, è comparsa la mia statuina. Elevato a simbolo della (ri)nascita”.

Lavoro e sacrificio: c’è questo alla base del suo successo. Il calcio lo accompagna in ogni momento della sua giornata, ovunque: “Sono sempre in partita, io. Non stacco mai. Mai. Il cervello va ogni volta lì, sulla squadra. So che è difficile starmi vicino. Mi consigliano di distrarmi ma niente, non ci riesco”. La testa nel pallone 24 ore al giorno, tra una sigaretta e gli appunti segnati su qualche foglio ora trasformati in messaggi vocali da recapitare tramite whatsapp al suo sempre presente vice Frustalupi: “Quando magari sono in bagno a lavarmi i denti e mi viene in mente qualcosa, gli spedisco un messaggio vocale, così sono tranquillo”. Ma tranquillo, in fondo, Mazzarri non lo è mai. Nemmeno quando è ora di mettersi a tavola, perché a volte si dimentica di mangiare “se mangio perdo tempo”. E quelle pochissime volte che si concede una tregua dalla sua vita da allenatore maniacale lo fa con lunghi giri in macchina con la musica ad alto volume e ‘Dov’è l’amore’ di Cher in sottofondo.

E pensare che la carriera da allenatore di Mazzarri sarebbe potuta finire ancora prima di iniziare, dopo della tragedia che portò alla morte Niccolò Galli quando guidava la Primavera del Bologna: “Per l'unica volta nella mia vita ho pensato di smettere, di abbandonare il mondo del calcio. Non me ne fregava più niente”. Alla fine si è rialzato, come ha sempre fatto nella sua vita. Partito da zero e arrivato ai massimi livelli. Ora è pronto a ripartire per l’ennesima volta sulla panchina del Torino, con la speranza di compiere la sua lunghissima e segretissima passeggiata che si obbliga a fare al raggiungimento degli obiettivi prefissati: “Se ho raggiunto l'obiettivo sconto una pena, un voto, è una camminata molto faticosa in salita in un posto che non dico”. Riti e segreti che dipingono un allenatore forse sempre troppo sottovalutato. Che nella sua nuova avventura granata porterà sicuramente con sé due cose: l’irrinunciabile difesa a 3 e il motto, che è diventato anche il titolo della sua autobiografia, che lo accompagna da una vita: “Il meglio deve ancora venire”.



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