Le bambine, da piccole, fantasticano su cosa diventeranno da grandi. Ci sono quelle che si immaginano di trasformarsi in etoile, come la Abbagnato, quelle che sognano il tuffo perfetto della Cagnotto, quelle che vorrebbero nuotare più veloci della Pellegrini. Poi ci sono quelle che come idolo avranno Bonucci. Come Francesca Vitale, difensore delle Milan Ladies, che il calcio ce l’ha nel sangue fin da piccola.
Capisce che il pallone è la sua strada durante le partite del fratello maggiore, che guarda insieme a mamma e papà: “Al posto di tifare dagli spalti, palleggiavo al di là della rete che circondava il campo. Ho cominciato a dire ai miei che lo sport che mi piaceva era il calcio e non quelli che mi suggerivano loro. Hanno provato a dissuadermi ma niente da fare”. Inizia nel 2002, ma la svolta avviene in occasione di un torneo estivo, nel 2007: lei e un’altra ragazzina sono le uniche donne in campo: “Avevo segnato due gol e la cosa era abbastanza strana. Di lì a poco mi ha cercato il Milan e l’anno successivo, una circostanza mi ha sorriso e cambiato la vita: c’erano gli Europei U19 alle porte, in Francia. Una titolare si era fatta male ed è toccato a me. Avevo 15 anni, inutile dire che ero nettamente la più piccola e che non mi sembrava vero. Quell’Europeo lo abbiamo vinto, battendo la Norvegia in finale e il ricordo di quell’estate, nel mio cuore, occupa ancora uno spazio enorme, anche se non avevo giocato”.
Da lì succedono tante cose: passa all’Inter, milita anche in una squadra americana, nell'estate del 2015, finché rimette la maglia rossonera. E proprio con le Milan Ladies, 10 anni dopo l'Europeo da spettatrice, la Nazionale la richiama; stavolta è quella delle "grandi" però : “Mi hanno chiesto la disponibilità dato che io, come tantissime colleghe, ho un lavoro quotidiano che non è il calcio. Era nell’aria insomma, ma quando mi hanno confermato la convocazione…mi hanno fatto il regalo più bello peri miei 26 anni, compiuti ieri”.
Non è difficile crederle, e non è assurdo pensare che il desiderio da esprimere davanti alle candeline dovrebbe diventare quello di chi gioca a calcio, di chi lo ama, delle donne che si augurano che questo sport possa diventare la loro unica professione, proprio come lo è per gli uomini. E’ realizzabile? “La strada è quella giusta, anche se per il momento la calciatrice la faccio dopo 8 ore di lavoro, con un po' di fatica e ritagliandomi tempo (poco) per le altre passioni che ho: lo shopping, i viaggi e il sushi”.
Se da bambine si lavora sui sogni, qualche volta si realizzano, anche se costano sacrifici e di strada da percorrere ce n’è ancora tanta.