La storia del giorno: Larrondo "Lorrendo" si trasforma in cigno
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Data: 22/02/2016 -

La storia del giorno: Larrondo "Lorrendo" si trasforma in cigno

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Quando si è buttato dentro la palla che di fatto regalava la vittoria al River Plate, condannando il suo allenatore Coudet alla prima sconfitta casalinga della carriera al Rosario Central, deve aver pensato a quei momenti bui in cui in Italia non riusciva a fare quello che sapeva e che voleva: gol. Marcelo Larrondo era arrivato in Italia dopo esser passato anche dal River. Era un sogno quella maglia con la Banda, ma un sogno irrealizzabile in quella stagione in cui il destino gliel'aveva messa addosso; nel 2007/08 in attacco i Millonarios avevano gente come Ortega, Falcao, Alexis Sánchez, Marco Ruben, il Loco Abreu, Federico Higuaín e persino Augusto Fernández, che a quei tempi era un'ala super offensiva. Impossibile per un giovane trovare spazio in prima squadra. Emigrò, scelse il Siena, e in Italia arrivò non sapendo una sola parola, e non capendo una sola indicazione sul campo. Imparò l'italiano ascoltandolo, senza frequentare alcuna scuola. Com'era diversa la vita da San Juan, dove aveva vissuto la sua prima esperienza lontano dalla sua casa nei pressi di Mendoza, con lo Sportivo Desamparados. Il cibo, una goduria. E i vestiti... una passione. Tanto che ogni volta che tornava in Argentina si sentiva prendere in giro dagli amici che lo chiamavano "l'europeo", o anche "pantalone", per quell'abbigliamento alla moda che ritenevano fuori luogo, non appropriato e stravagante. In Italia, Larrondo era diventato il bidone che gli esperti di Fantacalcio chiamavano "Lorrendo". In Argentina, era il borghesotto arricchito che ostentava il suo benessere attraverso la cura del suo aspetto. Insomma, un disastro. Tornò a giocarci, alla fine, in Argentina. Prima al Tigre, e poi al Rosario Central. Dove trovò due vecchi compagni di quel River 2007/08, Marco Ruben, una macchina da gol, e Cristian Villagra. E si rese conto che quello che aveva imparato in Europa, dove la sua velocità d'esecuzione non era sufficiente per essere un killer in area, in Argentina lo avrebbe reso un giocatore di livello superiore rispetto allo standard. Otto gol per convincere Sampaoli, Ct argentino del Cile, a controllare il suo albero genealogico e scoprire che il padre di Larrondo era cileno. Pronto a chiamarlo per la sfida di qualificazione a Russia 2018 contro l'Argentina, Sampaoli lasciò poco dopo la Roja Campione d'America. Larrondo perse la sua speranza, il sogno di giocare in una nazionale, forte, magari titolare, e di affrontare Messi, grande idolo del Newell's... un Clásico per lui. Un colpo che non fermò la sua corsa, fino all'autogol contro il River. Contro la squadra che non aveva creduto in lui. -3 al Fanta, che esiste pure in Argentina anche se non si chiama allo stesso modo, e rischio di sentirsi chiamare Lorrendo anche a casa sua. Ma in una notte come quella del Gigante de Arroyito, resa più magica da un lungo blackout, Larrondo non poteva che vestire l'abito più elegante. Quello del campione, seppure solo a un livello più basso dei campioni che giocano in Europa. L'acconciatura curata, da fighetto, scalfita dagli impatti della sua testa pensierosa con quel pallone. Prima il gol del 2-3. Poi il 3-3 al 96'. Doppietta. Delirio. Miracolo. Vittoria regalata al River trasformata in nuovo regalo al suo allenatore: una partita in più d'imbattibilità casalinga. E anche Lorrendo si è trasformato: in cigno. Anche se non sarà mai come quello di Utrecht, ci accontentiamo del cigno elegante di Tunuyán. Altre storie di calcio sudamericano su Romanzo Sudamericano


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