Olio su tela, Cyril. Dipinto numero 77, un mix di mille colori e altrettante sfumature: l’una diversa dall’altra. “Alla Van Gogh, un quadro particolare e stravagante, come me”. Un numero, un marchio indelebile: come il pipistrello di Batman o la ‘S’ di Superman. “Ma io non sono un supereroe. Io sono semplicemente Cyril Thereau”. Così particolare, unico. Sarà per i tatuaggi, “ne ho tanti e a breve ne arriverà un altro”, sarà per la sua idea di libertà. O magari per la sua esultanza. Ma Cyril lo noti. Sempre. E ti entra in testa, vorresti scoprirlo. Un quadro unico: misterioso e allegro. Perché lui sorride in ogni istante e quel suo sorriso non lo scambierebbe con nessuna cosa al mondo… “Così come la maglia numero 77! Che poi me lo sono anche tatuato sulle dita della mano”.
Viaggio nel mondo, nel corpo e nelle idee di Thereau. “Libertà. Sempre e comunque. Non mi è mai piaciuto – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – essere troppo quadrato o dover star stretto. Io devo fare quello che mi sento”. Una sorta di Alexander Supertramp, a modo suo. L’essenza dello spirito dell’uomo sta nelle nuove esperienze, d’altronde. “Ma sono un tipo tranquillo! Mi piace scherzare e mettermi in gioco, soprattutto con me stesso”. Profondo, esaustivo. In campo e anche fuori… “Ora segno e sto bene. Delneri mi da tanta libertà, mi lascia svariare e io amo fare questo”. Lo dice con l’orgoglio di chi crede davvero in quello che pensa e fa. Ed è proprio il suo essere stravagante, fuori dagli schemi a renderlo così intrigante… “Ma io sono e sarò sempre me stesso. Anzi, bella idea: forse me lo farò un bel tatuaggio con una frase sulla libertà”.
Libertà di essere se stesso. E di esultare in quel modo lì, con le dita unite. Beau, monsieur Cyril… “Continuiamo a parlare francese, così mi sento a casa! La mia esultanza è nata per gioco, con gli amici. Ero allo Charleroi e dovevo trovare un modo di festeggiare i miei gol. Mi piaceva il gesto di Toni. Avrei potuto imitarlo, chiaro. Ma no! Dovevo trovare una cosa tutta mia, libero di non copiare nessuno. Allora in vacanza ci siamo inventati questo gesto, che poi all’inizio era un po’ diverso, cioè con le mani dritte”. Un altro segno distintivo, perché lui è Thereau e basta. Sorride, gli si illuminano gli occhi quando per le vie di Udine qualche bambino gli si avvicina e gli fa… ‘Sai che ieri ho segnato al campetto con gli amici e ho esultato come te?’. Una carezza affettuosa e ‘merci beaucoup’. D’altronde, ‘made in France’, come il tatuaggio sul petto. “Sono orgoglioso di essere francese. Vengo dalla parte sud delle Alpi, una cittadina ad un’ora da Marsiglia”.
Per Thereau significa tanto, tutto. Il sorriso lascia il posto ad un’espressione tiepida, soave…quella del tifoso! “Quando smetterò di giocare andrò ogni domenica al Velodrome. Tifo Marsiglia da sempre, quando giocavo in Belgio prendevo l’aereo apposta per andare a vedere le partite dell’OM. E’ la mia fede”. E in estate qualcosa c’era stato, il cassetto si stava aprendo lentamente e quella specie di entità astrale, comunemente chiamata ‘sogno’ stava uscendo fuori… “Ma va bene così, a Udine sono felicissimo. Sarebbe stata l’unica squadra per la quale avrei lasciato questa maglia. D’altronde se vai da un calciatore friulano che tifa Udinese e magari da piccolo andava qua in curva e gli chiedi di giocare per questa squadra, cosa ti risponderebbe? Con me è andata così, mi è dispiaciuto sentire che io spingevo per lasciare l’Udinese perché non era così”. Ineccepibile, monsieur. Che poi spesso il destino si diverte ad intrecciare ben bene il filo delle nostre vite con quello dei nostri sogni o delle nostre inclinazioni… “Già. Io il mio primo gol da professionista l’ho realizzato al Velodrome in una partita di Coppa di Francia contro il Marsiglia. Segnai la rete del 2-3 ed eliminammo l’OM, io giocavo nell’Angers. E le scarpette della partita, distrutte, ce le ha mamma a casa belle incorniciate”.
Mamma e papà, che fa l’idraulico, “fra poco andiamo in pensione insieme”. Ma Cyril agli attrezzi preferiva il pallone… “Ci ho provato e per carità era pure bello quando mio padre mi portava a lavoro con lui. Ma dopo un’ora mi stancavo”. Meglio un colpo di tacco che svitare un tubo. Thereau, poi, ha provato anche un altro mestiere, eh. “Esatto! Al Chievo facevo il parrucchiere di Hetemaj, ma anche lì non ero un granché. A proposito, sarò sempre grato al presidente Campedelli, a Sartori e a tutta la società per avermi portato in Italia. Sono andato via in maniera un po’ brutta e mi è dispiaciuto. Forse sarei dovuto partire un anno prima che avevo proposte importanti, ma va bene così. Gli auguro il meglio”.
Proseguiamo con il giro dei tatuaggi. Colpisce una frase in inglese, sul braccio. Tradotta: ‘Rialzati…Finché la pecora non diventi leone!’. Da come ne parla si vede che significa tanto per lui. “Sì, perché non bisogna mai mollare e soprattutto in ogni cosa si deve dare sempre il meglio”. Tipo riflessivo, Thereau. Ama la sua Francia – ci tiene a ripeterlo – e puntualizza… “Rosico ancora per la finale del Mondiale 2006. Io in Nazionale? A 33 anni è difficile da pensare…”. E l’Nba, dove ha conosciuto la fidanzata Natalie… “Lei faceva la cheerleader dei Miami Heat. Mi sono tatuato le sue labbra sul collo. Io poi vado pazzo per Lebron, infatti ora tifo Cleveland”.
Si pettina il ciuffo, al quale tiene tantissimo e sfoggia la sua esultanza. Ci saluta così. Come piace a lui. Nel suo mondo, così unico. Dove tutto sembra avere una logica ben precisa, ‘la logica Thereau’. E se non ce l’ha, poco importa: ‘se ammettiamo che l’essere umano possa essere governato dalla ragione, ci precludiamo la possibilità di vivere’.