Linea internet che balla, chiamata Whatsapp che di tanto in tanto dà forfait. Federico, però, non perde mai la pazienza. Nemmeno il sorriso, che si percepisce chiaro anche da dietro il telefono. “Sto in mezzo al traffico, scusa se ogni tanto la linea se ne va”. Cadenza romana, sogni ormai americani: “Fare l’allenatore un giorno? Beh, sto iniziando ora. Vedremo, magari sì…”. Come papà Angelo Gregucci, per lui “un esempio di uomo, di vita”. Da piccolo, anche e soprattutto, un compagno di gioco: “Gli rompevo sempre le scatole chiedendogli di giocare con me in giardino! Ma non mi ha mai costretto a fare il calciatore. Mi ha sempre lasciato libero di scegliere”, racconta in esclusiva ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com. Con un unico consiglio da ascoltare e riascoltare: “Avere fame di fare bene!”.
Già, perché il problema dei giovani italiani, secondo Federico, è proprio questo. Anche se, a rovinare il quadro, spesso è la cornice: “I nostri giovani, nemmeno entrano nel settore giovanile di qualche squadra, che già sono in mano ad un procuratore”. Troppa voglia di fare strada, poca quella di rimboccarsi le maniche camminando: “Questo perché abbiamo sempre tutto. Ci manca quella fame che mi diceva papà! E che poi, durante la mia crescita calcistica, è mancata anche a me. Mio padre ha sempre cercato di darmi un tipo di educazione. Lui si è guadagnato tutto quello che ha raggiunto da solo, fin da piccolo mi ha fatto capire che va avanti solo chi lo merita. La meritocrazia è il suo valore assoluto. Non mi ha mai aiutato né spinto: mi ha sempre fatto capire che le cose vanno guadagnate con il sudore”.
JUVENTUS ACADEMY E… NESTA
Federico Gregucci ora vive a Miami, con la fidanza Clarissa ha deciso di provare una nuova avventura dall’altra parte del cosmo: “Io c’ero stato da giovane, a lei l’America è sempre piaciuta. Quindi un giorno siamo partiti, praticamente senza nulla! Avevamo degli amici, ci hanno dato loro un appoggio”. Da una partita di calcetto, ecco il sogno che inizia a diventare realtà. A tinte bianconere, come l’Academy della Juventus dove, una volta completato l’iter burocratico, ricoprirà il ruolo di allenatore: “L’Academy non la conoscevo. Grazie a Dario Marcolin e a una partita di calcetto – lui è fissato, ne fa tre al giorno (ride, ndr) – ho conosciuto Stefano Ledda e altri dirigenti della scuola. Da subito mi è piaciuto il progetto e la serietà nel portarlo avanti. Così, è nato tutto questo…”. Tecnico degli Under 11, con il compito di trasmettere ai giovani una filosofia di gioco che sia più italiana possibile: “Qui non c’era una vera e propria tradizione calcistica. Il calcio come lo intendiamo noi, lo stanno iniziando a scoprire adesso. Da piccoli sono abituati a palla lunga e pedalare. Noi cerchiamo di insegnargli a tenere il pallone, dandogli consigli tattici e tecnici”.
E voi ve lo immaginate Nesta con la maglia a strisce bianche e nere? Eppure, la realtà ha già superato l’immaginazione: “Nella scuola c’è anche il figlio di Alessandro. Che lo segue molto, viene spesso al campo”. Talento che passa di generazione in generazione, amore per il calcio trasmesso… ‘Di Padre in Figlio’: “Due volte durante Di Padre in Figlio (evento noto in casa Lazio, ndr) l’ho incontrato sul campo. Fortunatamente in nessuna delle due occasioni l’ho dovuto affrontare (ride, ndr). E’ stato uno dei calciatori più forti del mondo, come lui non ce ne stanno e non credo ce ne saranno altri. Certo, io lo spero….”.
LA LAZIO, IL VICENZA E IL LEYTON ORIENT
Prima di vestire i panni di allenatore, una vita passata tra i campi a fare il calciatore. Federico Gregucci come… Luca Toni: “Non esageriamo! Con le dovute proporzioni, gli somiglio per caratteristiche”. Forza fisica e fiuto del gol. Con il Leyton Orient, ben 8 in 5 partite. Un’esperienza da… reality! Nata grazie a una chiamata con Materazzi: “Un giorno Marco mi parlò del reality (che prendeva il nome proprio dalla squadra, ndr) e di provare. Avevano bisogno anche di un allenatore e chiamarono mio papà. Lui, però, non voleva che ci fossimo entrambi, quindi decidemmo che doveva andare lui. Due settimane dopo mi telefonò di nuovo Matteo e mi disse di entrare nel programma senza dire nulla a mio padre. Presi l’aereo e andai. In puntata, gli facemmo credere che ero in collegamento da Roma prima di… raggiungerlo davvero. Quando mi vide fece una faccia strana (ride, ndr). Una settimana dopo già mi aveva mandato in nomination! Però aveva ragione, non avevo fatto bene alla partita precedente. Dalla settimana dopo mi sono ambientato, ho fatto 8 gol in 5 partite arrivando fino alla finale. E’ stata una bella esperienza, soprattutto perché venivo allenato da papà per la prima volta”.
Nonostante un cognome importante, infatti, Federico non ha mai avuto una pista privilegiata: “Non mi sono mai sentito superiore, sono sempre stato al livello degli altri”. Umiltà e duro lavoro. Come per entrare nella Primavera del Vicenza: “E’ vero che papà era lì in quel periodo, ma feci un provino come tutti gli altri. La fortuna fu essere un centravanti, visto che in quel periodo ne erano carenti. Qualcuno all’inizio storse il naso, poi si ricredettero tutti”. Prima, invece, tutta la trafila con la maglia della Lazio. Ascoltando gli insegnamenti di quel Patarca che, in casa biancoceleste, ricordano tutti con piacere. E non solo perché regalò alla prima squadra campioni del calibro di Nesta e Di Vaio. Di più di un allenatore: un papà per tutti. Anche per Federico Gregucci che, in America, ha trovato anche il modo di (ri)giocare il suo personalissimo derby. Con chi? “All’Academy ho stretto subito amicizia con Marco Viviano, che ha giocato nelle giovanili della Roma. Parlando e conoscendoci abbiamo scoperto per casa che ci siamo affrontati più volte in campo quando lui vestiva la maglia giallorossa e io quella laziale”. Ah, la Lazio. La chiusura è tutta a tinte biancocelesti: “Sono tifoso della Lazio da sempre. E’ una fede, che non ho mai abbandonato”. Come quella per il calcio. Cresciuta coi consigli di papà e ora… esportata fino a Miami.