Mazinho aveva ventisette anni, si apprestava a diventare Campione del Mondo, ed era nel pieno della propria tappa al Palmeiras, quando nacque il suo secondogenito Rafael. Al contrario di suo fratello Thiago, nato due anni prima a San Pietro Vernotico, il piccolo Rafa vide la luce in Brasile. La sua storia però, iniziata a San Paolo nel 1993, era destinata a proseguire in Spagna, sempre al seguito della carriera del padre.
Quando Mazinho si trasferì a Vigo, per giocare nel Celta, lo seguirono anche la moglie Valeria, ex pallavolista professionista e i due bambini, di cinque e tre anni. Una famiglia di sportivi: persino suo nipote, l’ispano-brasiliano Rodrigo Moreno Machado, è uno dei migliori talenti del Valencia.
Uno dei primi club dei fratelli Alcántara fu l’Ureca, perché le giovanili del Celta Vigo, in quel momento, non avevano spazio per altri ragazzini. Con Thiago fu tutto nella norma fin dall’inizio: era già il più tecnico dei suoi compagni e si divertiva a imitare le giocate che vedeva fare agli avversari del padre in Liga. Rafa, invece, voleva diventare un portiere. Il suo allenatore giovanile, inizialmente, lo assecondò, ma in meno di un anno riuscì a inserirlo tra i giocatori di movimento, perché le sue qualità con il pallone tra i piedi avevano impressionato tutti.
A tredici anni entrò nella Masía, proprio come suo fratello Thiago. Un onore da fare invidia a chiunque, che però impedì a entrambi i ragazzi di entrare nelle divisioni inferiori della Seleção. In quel periodo, la Amarelinha accettava solo giovani formati in Brasile. Thiago proseguì con la maglia della Roja anche nella nazionale maggiore, mentre Rafinha, che ha ancora i propri migliori amici a Rio de Janeiro, cidade maravilhosa di cui non dimentica i giorni felici trascorsi insieme alla famiglia, decise di unirsi alla Seleção, con cui fu anche campione olimpico nello storico trionfo del 2016, il primo del Brasile.
I momenti decisivi della breve carriera di Rafinha, finora, sono stati dei ritorni. Primo su tutti il ritorno nella sua Vigo, che nei suoi tweet aveva sempre ricordato affettuasamente come “Celtiña”. La città in cui trascorse alcuni anni della sua infanzia, simile, secondo la madre Valeria, alla città carioca per l’armoniosa convivenza tra mare e montagna. Bene la Galizia, ma Rio rimane un’altra cosa.
Il secondo ritorno fu quello al Barcellona: dopo un’ottima stagione al Celta, sotto la guida di Luis Enrique, tornò al Camp Nou sponsorizzato dallo stesso Lucho, e trovò anche un discreto impiego. Negli ultimi due anni, però, diversi infortuni hanno limitato il suo talento, impedendogli di affermarsi. L’Inter di Spalletti, in cerca di alternative offensive sulla trequarti, ha deciso di scommettere sul figlio di Mazinho: sarà la prima esperienza fuori dalla Liga per il brasiliano, che, oltre a una buona dose di talento nel Dna, porterà con sé a Milano tanta voglia di riscatto. Un terzo ritorno, quello di un elemento della famiglia di Mazinho in Italia.
di Federico Raso - Tre3Uno3