“Suker approfitta di un fuorigioco sbagliato dalla linea difensiva francese e porta in vantaggio la Croazia. I sogni di gloria dei ragazzi di Blazevic si infrangono però sulla doppietta di Thuram, che porta la Francia in finale”. Sono passati 20 anni dalla prima e ultima grande Croazia, quella di Francia ’98. La prima Croazia a partecipare ad un Mondiale, figlia della disgregazione jugoslava e con una storia di incroci e melting pot dietro ognuno dei giocatori. Pur reduce da un ottimo Europeo del ’96, quella era una squadra forse non pienamente consapevole dei propri mezzi, il cui talento era tenuto assieme non tanto dai dettami tattici, ma da quell’alchimia un po’ misteriosa che caratterizza le prime volte. Non ci sono più Boban, Prosinecki, Suker, Vlaovic e Stanic, ma Modric, Rakitic, Mandzukic e Perisic. La Croazia di oggi torna a giocarsi una semifinale mondiale senza quella leggerezza, ma con una coscienza dei propri mezzi ed un’organizzazione tattica che forse la rendono meno imprevedibile, ma più dura a morire.
Il Mondiale, fin qui, della Croazia è stato di difficile
interpretazione: in un girone sulla carta non facile, gli uomini di Dalic si
sono sbarazzati di Argentina, Nigeria e Islanda. Superare la fase a gruppi, d’altronde,
era l’obiettivo minimo per questa generazione di calciatori arrivata
probabilmente a giocarsi l’ultima grande occasione a livello internazionale.
Proprio per questo, forse, dagli ottavi in poi è subentrata un po’ di paura. Le
partite contro Danimarca e Russia sono state molto simili, sia per come si sono
sviluppate e concluse, sia perché la Croazia si è un po’ incartata su se
stessa, dando l’impressione di non saper sfruttare le frecce del proprio arco.
Sono mancate soluzioni soprattutto in fase offensiva, nonostante gran parte del
gioco sia stato tra le mani (i piedi) del centrocampo croato. E come potrebbe
essere altrimenti, quando Modric e Rakitic giocano uno di fianco all’altro? L’ordine
tattico con cui Dalic ha plasmato la Croazia, è forse sia la cura che la
malattia: perché la Croazia ha sì una forte identità adesso, ma ne ha soltanto
una. Un’orchestra che suona una buona sinfonia e si affida spesso agli assoli
dei suoi talenti, ma che va in difficoltà se cambia lo spartito. Due vittorie
thrilling ai calci di rigore però, potrebbero aver segnato il punto di svolta
per questa squadra, liberandola mentalmente: via gli spettri delle delusioni
passate, via le aspettative. La semifinale contro l’Inghilterra come l’inizio
di un nuovo Mondiale.
E poi c’è lui. C’è Luka Modric, che finora non ha sbagliato
nemmeno una partita. Il fulcro del centrocampo croato, il porto sicuro quando
le acque non sono calme. Modric, che ha affrontato e brillantemente superato il
personale momento sliding doors della sua carriera con la maglia a scacchi –
ovvero i minuti tra il rigore sbagliato nei supplementari contro la Danimarca e
quello realizzato durante “la lotteria” – e che ha già vinto svariate volte il
premio di man of the match. Ma Modric non è un premio a fine partita e non è
nemmeno un rigore segnato o sbagliato (sebbene quei centimetri abbiano fatto
tutta la differenza del mondo). Modric è visione di gioco, letture, difendere e
attaccare seguendo gli stessi principi e sfruttando la propria superiorità
mentale ancor prima che tecnica. È stato per Cristiano Ronaldo (insieme a
Kroos) quello che Xavi e Iniesta sono stati per Messi. Può essere per la
Croazia di Mandzukic il lottatore, di Rakitic il freddo, di Perisic il turbo
incostante… il collante che sigillerebbe un trionfo più che storico. Quello di
un paese di 4.154.200 abitanti, che questa sera si fermerà per 90 minuti. O
forse 120 e qualcosa?