"E' meglio vincere le partite che contare i propri gol". Firmato "Super" Mario Mandzukic. Il possente centravanti croato è sempre stato apprezzato in carriera per la sua grande voglia di lottare e non a caso anche a Torino è diventato idolo. Ai tempi del Bayern l'ex bianconero Salihamidzic lo soprannomino "Street Fighter", tuttavia "Mandzo" non è sempre stato un gigante:
"No, anzi. Ero piccolino e nemmeno tanto potente" - si legge nelle pagine del Corriere della Sera - "Secondo alcuni non avevo le caratteristiche per giocare in certi ruoli, ad esempio sulla fascia. Però ero tenace, avevo molta resistenza e volevo dimostrare che si sbagliavano. Volevo giocare a tutti i costi. A 11 anni ho fatto 3300 metri in 12 minuti. È tutto vero! Ma neanche me lo ricordavo. Per me era solo una motivazione per giocare bene a calcio e correre più degli altri. Volevo essere il migliore. Ho scelto il calcio grazie a mio padre, che era un bravo stopper. Lui mi portava agli allenamenti e io mi sono innamorato di questo sport. Idolo? Ronaldo, il Fenomeno". In pochi sanno che la stagione scorsa Mario era infortunato: "Metto tutta l’energia che ho, che è tanta, per aiutare la Juventus a vincere. La cosa più importante è che lo sappiano i compagni e l’allenatore. E qualche volta ho l’impressione che lo capiscano meglio i tifosi di tanti esperti. Ma è meglio vincere le partite che contare i propri gol. Contro l’Udinese alla prima giornata mi sono ferito su un tabellone pubblicitario. A me non piace piagnucolare perché mi deprime ancora di più e non voglio mai cercare scuse. Preferisco lottare contro il dolore, ma ammetto che ho avuto 3-4 mesi molto complicati: la ferita si è infettata, ho dovuto prendere antibiotici e qualsiasi contatto anche in allenamento mi dava molto fastidio".
Panchina? Non è rabbia, ma dispiacere: "Non è un’arrabbiatura vera e propria. Tutto nasce da questo mio amore viscerale per il calcio. Ed è più un dispiacere: come quando un bambino piccolo sta giocando in cortile e viene chiamato, perché deve tornare a casa. Non riesco a nascondere le mie emozioni, non sono un robot. Ci metto tanta passione ed è normale che mi dispiaccia uscire. Ma non è niente di così grave. Quando è arrivato Higuain non ho chiesto garanzie. In una squadra come la Juve arrivano solo quelli più forti. Con Gonzalo ci capiamo benissimo, sia in campo che fuori. Forse a qualcuno piacerebbe che ci fosse disaccordo tra noi due, ma c’è grande stima reciproca. Poi ognuno di noi deve dimostrare sul campo quanto vale e si deve ricavare il proprio spazio. Non mi sono mai posto il problema ecredo che abbiamo dimostrato di essere capacissimi di giocare insieme. Ho una visione del calcio nella quale bisogna essere aperti alle varie possibilità, senza farsi troppi problemi, ma lavorando per vincere". Un tridente con Dybala? "I bravi giocatori possono sempre trovare un’intesa. Il calcio in realtà è molto semplice. Anche se a volte qualcuno deve renderlo complicato e difficile". Spagna, Inghilterra, Germania o Italia? "Ognuno ha il suo stile. In realtà la serie A è difficile, molto complessa dal punto di vista tattico. E non è per niente indietro rispetto agli altri".
Juve squadra fisicamene di "animali"? "Deve sempre essere così: non basta indossare la maglietta e aspettare che gli altri caschino ai nostri piedi. Dobbiamo essere belve feroci: così si vince. E si rivince. Supercoppa? È una finale, quindi difficile. La sconfitta di Milano per noi è un avvertimento, un pro memoria. Ma è anche la motivazione per arrivare più concentrati e focalizzati sulla vittoria". Capitolo Champions: "È difficile descriverlo, ma vincerla è qualcosa che rimane per sempre e per me è un ricordo bellissimo. Anche per questo vorrei tantissimo rivivere la stessa sensazione con la Juventus. In Europa ogni secondo conta, non ci possono essere distrazioni e un pizzico di fortuna non guasta. Credo che sconfiggerci in due partite sia molto difficile per chiunque. Quindi procediamo passo dopo passo, con fiducia". Rispetto per i giornalisti, ma meglio evitarlo nei post-gara: "Sono molto riservato. Preferisco far parlare il campo. Non mi sento una star, ma una persona normale. Non ho niente contro i media, ma finita la partita sono talmente stanco che trovo difficile dare alle interviste la giusta concentrazione. Una volta smesso mi piacerebbe fare l’allenatore, perché il calcio per me è tutto e vorrei contribuire con qualcosa di mio, per insegnare e trasmettere agli altri tutto quello che ho imparato".