Paolo De Ceglie e la Juventus, storia di un grande amore... al capolinea. Dopo 22 anni il terzino valdostano lascerà i bianconeri per la scadenza del contratto. Ultima stagione da separato in casa, che De Ceglie ha descritto attraverso le pagine de La Gazzetta dello Sport:
"Una cosa che nel calcio può capitare: non trovi l’accordo con la società, il tempo passa e la situazione non si risolve. Alla fine, rimani senza una soluzione, fuori da un progetto, spalle al muro. A quel punto, ho fatto una scelta, ho pensato a quello che potesse essere meglio per me in quel momento. Potevo allenarmi da solo, ma sarebbe stato ancora meno bello, ho preferito aggregarmi ogni giorno alla Primavera, ringrazio Fabio Grosso e il suo staff per avermelo concesso. Ho giocato qualche amichevole con loro, ma stare a Vinovo,che considero casa mia, mi ha permesso di faticare e di adattarmi allo storico dei miei test fisici. Nonostante tutto, sono ancora in forma, anche se è stato un anno difficilissimo. Senza il campo, senza la possibilità di giocarsi il posto, è un incubo che non auguro a nessuno. Allenarsi con la prima squadra non avrebbe avuto molto senso: non puoi stare stabilmente in un gruppo di cui non fai parte. E in cui non sei voluto".
I "no" alle diverse proposte di mercato non sono il motivo della situazione vissuta da De Ceglie: "È passato questo messaggio, che fossi quasi viziato e abbia detto semplicemente no ai club che mi venivano proposti. Non è così, c’è una spiegazione a monte: la rottura è arrivata perché non è stato trovato un buon accordo, non si sono tenute in considerazione tutte le parti in causa. È mancata una intesa generale sul mio futuro. Ora è il tempo di tornare a giocare, non di fare polemica. Rimproverarmi qualcosa? Certo, si può sempre fare qualcosa in più: allenarsi meglio, giocare meglio. Ma vi racconto come è andata davvero a Marsiglia: fino a gennaio ho giocato, prestazioni discrete in una squadra che non andava bene. A gennaio mi era stata garantita la cessione in Liga e, invece, mi hanno tenuto là. Come reazione, non mi hanno fatto più giocare: si valuti bene prima di parlare di disastro".
Contratto a 1,7 milioni, forse uno dei motivi? "Non so, non mi aspettavo di finire in una situazione simile e non giudico i modi usati dal club. Vorrei dire una cosa semplice: non ho rancore. Anzi, lasciando il club dopo una vita, mi si stacca un pezzo di cuore. E per me la Juve non è questa cosa conosciuta nell’ultimo anno, ma quella dei 21 precedenti. La Juventus è un riferimento, per sempre. Da quando sono arrivato a 8 anni e ho messo una maglia vista prima solo in tv a quando sono diventato uomo. Fotografo due momenti: l’anno della B, quello dell’appartenenza e dell’orgoglio, e il primo di Conte, con la rinascita. Inutile dire che farò sempre il tifo per i bianconeri. Del Piero, l’idolo con cui finisci per giocare: incredibile. In panchina dico Conte, l’uomo che ha fatto svoltare la storia moderna del club".
De Ciglio e Marchisio, storie diverse: "Perché il calcio e la vita vanno così, non sempre come vogliamo. Ma non ho rimpianti o invidie. Anzi, resta l’onore di aver giocato con Claudio e Giovinco. È un caso più unico che raro: tre di una stessa Primavera hanno fatto poi più di 100 presenze col club. Anche questo me lo porto dentro". Futuro: "Ora giocherò, che è quello che più manca. Una sensazione che ho desiderato per un anno intero. Dove? Ascolto tutte le proposte, non ho preclusioni.Mls? L’America può essere una soluzione per un viaggiatore come me: parlo francese e spagnolo, migliorare l’inglese non sarebbe male". Prima di chiudere l'intervista De Ceglie dà un consiglio ad Alex Sandro: "È un mostro, ma certe operazioni sono nella storia della Juve. Le fanno quando hanno un’alternativa pronta: Spinazzola, ad esempio, è giovane, forte e italiano. Certo, indossare la maglia della Juve può pesare. Io posso dirlo".