«GRAZIE a tutti i tifosi che mi hanno apprezzato nonostante le mie qualità mediocri per il livello Juventus: i vostri complimenti mi fanno provare sinceramente un po' di vergogna perché penso di non meritarmeli e per questo vi sarò eternamente grato».
Basterebbero queste frasi, estrapolate dalla lunga lettera con la quale Simone Padoin ha voluto salutare e ringraziare compagni, staff, dirigenza e tifosi della Juventus per spiegare tante cose. Innanzitutto per spiegare il perché a Padoin il comprimario, a Padoin la riserva, a Padoin la comparsa, si siano affezionati tutti. Lasciate perdere i discorsi sul portafortuna, sul talismano. Simpatici, ma restano in superficie. No, i tifosi e i compagni, e tutto l’ambiente Juventus non dimenticheranno Padoin perché Padoin è prima di tutto un ragazzo umile, consapevole dei suoi limiti: senza però che questa consapevolezza si sia mai trasformata in debolezza. Anzi, è diventata un motore, una motivazione in più: perché nonostante tutto, Padoin a questi livelli c’è stato e si è mantenuto anche bene. Arrivato dall’Atalanta nel gennaio 2012, in tempo per vincere il primo dei cinque scudetti consecutivi, quello più inatteso e forse più dolce. Arrivato senza scalpore ma voluto fortemente da Conte per la sua duttilità. Jolly che in quella primissima Juventus ricoprì quasi tutti i ruoli del centrocampo (nella sua prima fase di sperimentazione a 5): esterno e mezzala. Negli anni a venire farà anche il terzino destro, il terzino sinistro, pure il regista. In quella prima stagione c’è lo spazio anche per un sigillo, nel 5-0 esterno sulla Fiorentina: il primo dei tre gol in bianconero. L’altro sarà il quello dei 96 punti (sui futuri 102) con la Juve già campione nel 2014, contro la sua Atalanta. L’ultimo un diagonale contro il Palermo, con la Juve già lanciata verso il quinto scudetto di fila: è il giorno di un’ovazione che lo Stadium ha riservato a pochi.
Gli scudetti, dopo 4 anni e mezzo saranno 5, con 2 Coppe Italia e 3 Supercoppe Italiane, con 84 presenze. Ma non è tanto la quantità, ma la qualità di quelle apparizioni: sì, paradossale parlare di qualità, eppure va intesa come certezza e garanzia di trovare sempre un giocatore affidabile, concreto e totalmente al servizio della squadra. L’altruismo applicato al calcio. La squadra, bene comune: i giocatori sono passati, poche le costanti. Padoin una di loro. Perché? Perché col tempo, alzandosi sempre più il livello della Juve, si è alzato anche quello di Padoin, senza che questo però corrispondesse a un cambiamento di atteggiamento da parte sua. Sempre pratico e utile in campo, sempre di poche parole e lontano dai riflettori fuori. Compagno ideale di spogliatoio. Un esempio: parola di Leonardo Bonucci, “che si scomoda” e gli dedica un post, lui che a suoi dire non è solito salutare i compagni. Ma Padoin è un’eccezione, è l’eccezione. Un eccezione firmata dalla sua normalità. Un altro paradosso? No. Il suo è un talento normale che gli ha regalato una carriera straordinaria. Laddove normalità non è mediocrità ma semplicità. Lui normale in una Juventus a-normale: non fuori contesto, ma assolutamente inserito. Sempre lucido, anche quando, forse nel peggior momento di questi 5 anni, fu preso di mira dalla critica e da molti di quei tifosi che adesso lo osannano. Inizio della stagione appena conclusasi, tanti infortuni in casa Juve e Allegri lo schiera da regista: fa anche quello Simone, con i suoi limiti e le sue difficoltà. La Juve non decolla, anzi precipita: lui il capro espiatorio. Quello però era semplicemente un motore ingolfato di cui Padoin era soltanto un ingranaggio. Quel “peggio” è passato, tutto cancellato. Ora un addio, le manifestazioni di affetto dei tifosi, una nuova avventura in cui forse lui, pentacampione d’Italia, sarà straordinario in un contesto normale. Padoin e la Juventus si salutano: a Torino sono passati tanti campioni, tanti ne passeranno, tanti ce ne sono adesso. Ma Simone Padoin mancherà perché è un campione nel fondamentale più importante, non solo nello sport: l’umiltà.