Tipo allegro, molto loquace, di quelli che ti mette subito a tuo agio. Parla un ottimo italiano Jefferson, attaccante del Teramo: davvero perfetto…c’è qualche segreto? “Direi di sì, effettivamente sono italo-brasiliano per via della mia bisnonna che era di un paesino vicino a Venezia”. Lo dice soddisfatto, entusiasta. Saudade? Ah, questa sconosciuta… “Sono innamorato dell’Italia, dal cibo al turismo. Anche l’estate rimango qua, spesso non torno. Ma il cibo italiano è spaziale, ed io ero uno che a tavola ci dava dentro…”.
Molto sincero Jefferson, con quell’ampio ventaglio di soprannomi-diminutivi, da Jeffe (“Come mi chiamano qui in Italia”) a Jef-Paulista (“Era il mio soprannome in Brasile perché sono di San Paolo, squadra che tifo anche. A proposito, Luis Fabiano tanta roba”). Un’infanzia tranquilla, “non agiata, ma non mi lamento di niente”. Combattivo Jefferson, uno di quelli che non molla niente. “Nemmeno dopo 19 infortuni! Tra un problema e l’altro, ne ho avuti tutti questi da quando sono arrivato in Italia. Sicuramente tanta sfortuna, ma – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – un po’ è dipeso anche da me”. Autocritica nemmeno troppo volata, ora pensa al Teramo. Anzi, segna per il Teramo: “Sabato sono rientrato dall’ennesimo infortunio e la doppietta contro il Gubbio è stata una sorta di liberazione, a livello personale era quello che mi ci voleva. Ma anche a livello di squadra, abbiamo vinto cinque a uno…”.
Finalmente sente la fiducia, Teramo crede in lui. “Io ho bisogno di due cose: sentire che si punta su di me e…toccare la palla! Per noi brasiliani il richiamo della palla è troppo forte, se non la tocco impazzisco. Sono un ‘numero nove’, ma spesso esco dall’area e me la vado a cercare”. Forse ne manca una terza… “Infatti… la musica. Nel mio telefono ho qualcosa come 5.412 brani, di tutti i tipi eh ma soprattutto brasiliani (più di 3mila). Mi da tanta carica, in Brasile nel riscaldamento l’ascoltavamo a palla…”. Numeri importanti, che parlano chiaro: c’è un’elevata saudade musicale.
La Serie A brasiliana con il Paranà e poi quella – soltanto sfiorata – con la Fiorentina. “In Brasile avevo fatto abbastanza bene, giusto ieri abbiamo creato un gruppo WhatsApp con i miei ex compagni di squadra…”. Ride Jefferson, sta rimembrando qualcosa… “Qualcosa di molto divertente. Ricordo uno scontro di gioco su una palla alta con un difensore avversario e dopo lui aveva perso la dentiera in mezzo al campo. Questo comincia a urlare ‘state tutti fermi, non vi muovete’ e nessuno capiva. Poi ha iniziato a gattonare per il campo e alla fine tra una risata e l’altra, gliel’abbiamo ritrovata”.
Si fa più serio, invece, quando parla del suo arrivo in Italia. Cupo, quasi malinconico. “Con la Fiorentina avevo firmato un pre-contratto in inverno e ad aprile il Paranà decise di mettermi fuori rosa perché non avrei rinnovato con loro. Così decido di partire subito anche per cominciare le pratiche della cittadinanza”. E Jefferson, tra 'inattività' e il primo impatto con il cibo italiano, comincia ad avere problemi di peso… “Quando sono partito dal Brasile ero 81 kg, a Firenze sono arrivato a pesare 92.5 tant’è che la prima settimana di ritiro mi sono subito fatto male. I problemi di peso mi sono costati cari, io sono stato sempre qualche chilo sopra e questo mi ha penalizzato parecchio. Avevo avuto un problema alla mandibola, un altro diciamo con gli ‘equilibri fisici’ e poi un altro e un altro ancora. I primi mesi in Italia tutti mi portavano a mangiare fuori e io non riuscivo a regolarmi”.
Ma Jefferson di Firenze ha anche ricordi belli: “Le città che è fantastica, le partite alla play station con Jovetic, Pasqual che oltre ad essere il mio compagno di stanza era anche il mio maestro d’italiano. E Mutu, in allenamento era pazzesco”. Ci tornerebbe chissà, un giretto agli Uffizi o alla Basilica di Santa Croce… “Perché no?”.
Alla Fiorentina, invece, ci tornerebbe in modo diverso: intanto con nove chili in meno… “Ora peso 83, sono in linea anche con la mia altezza. A pranzo e cena riso, verdure e poco altro”. Perché tanto l’unico modo per crescere e capire è sbagliare. Per capire una cosa la devi toccare con mano, a volte devi ‘sbatterci la testa’… “Io la Serie A me la sono lasciata scappare. Avevo 20 anni, mille infortuni, però me la sono lasciata scappare. Ora vorrei riprendermela”. Con un po’ d’amore in bocca sì, ma con quel ‘sarebbe potuto essere…’ che ora si sta sbiadendo sempre più, senz’altro è diventato meno ingombrante. D’altronde, Jefferson, la voglia di rialzarsi è insita in ognuno di noi, basta soltanto scavare un attimo…