Il volto della momentanea speranza. Quello che dalle parti del "Bernabéu" conoscevano già bene, vecchio padrone di una maglia numero 10 ora sulla schiena di un direttore d'orchestra come Modric: quello che per il Bayern ha significato, per più di 20 minuti, iniezione di fiducia ulteriore per tentare di conquistare la finale di Kiev, compiendo un'impresa dopo l'1-2 dell'andata. Rimasta solamente desiderio, tuttavia, negli occhi lucidi di chi anche davanti agli obiettivi personali ha saputo trovare il momento giusto per pensare al passato. Come James Rodriguez.
La domanda è: può uno sconfitto, con il massimo onore, risultare autentico protagonista di una serata come quella di ieri a Madrid? La risposta è ovviamente "sì": in molti penseranno ad Ulreich, e ad un errore incomprensibile costato un pezzo di finale alla squadra di Heynckes. Ma il flusso emotivo umano, di fronte al gol del pari del grande ex di turno, diventa fiume in piena: impossibile non notarlo, guardandone l'espressione, troppo facile restarne colpiti. Per James quella di ieri non sarebbe mai stata una partita come le altre, e inevitabilmente così è stato: il Real come sogno realizzato, il biennio blanco come ulteriore step di crescita fino ad arrivare al top, tra due Champions League alzate e il tetto del mondo toccato, sulle ali della felicità e dei successi, con un dito. Ricordi arruffati, ancora freschi nel presente e messi frettolosamente in un cassetto, prima di ieri sera: destinati a riemergere di fronte a un destino che, beffardamente, lo ha riportato proprio nella sua vecchia casa. Rientrando al "Bernabéu" dalla porta degli ospiti e riaprendo, per un attimo e con un gol di pura volontà, un discorso qualificazione poi chiuso.
Bandido dal cuore grande: quello che dopo aver battuto Keylor Navas (e non in allenamento, come ai vecchi tempi) si ferma improvvisamente, congiungendo le mani al petto e chiedendo scusa, con gli occhi lucidi, prima dello scossone di Sule. Si emoziona e fa emozionare in campo, James, ricevendo in risposta anche l'applauso del suo ex pubblico nel gettare il pallone in fallo laterale, con Asensio colpito da crampi, e al momento della successiva sostituzione: aveva detto che non avrebbe esultato in caso di gol e così è stato. Questione di rispetto. Via dal Real senza polemiche, come ammesso anche da Zidane, ma solo con la voglia di giocare di più, per un ampio minutaggio che Zizou non avrebbe potuto (a suo dire) concedergli. Forse pentendosene.
Alla fine restano i piccoli record, di ben altra importanza di fronte alla mancata chance di raggiungere un grande traguardo chiamato Kiev: primo colombiano a realizzare un gol con tre squadre diverse in Champions League, nonché primo a riuscirci in semifinale, e settimo giocatore a realizzare almeno un gol per e contro il Real Madrid nella storia della massima competizione europea, affiancandosi a Zamorano, Morientes, Beckham, Robben, Van Nistelrooy e Morata. Roba da ex, insomma, sempre separatisi ma nel più profondo rispetto: lo stesso che è emerso ieri, anche in una semifinale di Champions League, in un istante da punto di fuga per qualsiasi (tele)spettatore. Dove il volto scosso e commosso di James, pur successivamente sconfitto, ha saputo mettere paura alla serata blanca del Bérnabeu. Diventandone antagonista, almeno per 90 minuti...