Non andavi al ristorante. Andavi da “Ivo”. Perché li venivi coccolato, come fossi uno di famiglia. Bastava chiamare un attimo prima per avvisare che facevi tardi. Lui ti aspettava, e come arrivavi venivi accolto da quel sorriso inconfondibile: “tortellino o cotoletta?” perché, anche lui, dopo tanti anni aveva capito che farli entrambi diventava impegnativo. Vederti soddisfatto a tavola era la sua vita. E non a caso è diventato uno dei ristoratori più conosciuti nel mondo del calcio.
Ivo Gandolfi se n’è andato all’età di 75 anni, ucciso dal Covid-19. Con lui migliaia di aneddoti e ricordi, di storie accadute e trattative di mercato svolte fra i tavoli del suo ristorante a Bologna. Prima la storica “Braseria” di via Testoni, più recentemente “Al Campione” di Porta Lame.
Veri e propri punti di riferimento per le leggende dello sport: Valentino Rossi, Alberto Tomba, Roberto Baggio, Francesco Totti, Carlo Ancelotti, erano solo alcuni - tra i più noti - clienti fissi di “dado”. Così chiamato affettuosamente da molti, da quando faceva il cuoco ufficiale del Bologna, negli anni d’oro, quelli della Coppa Uefa, a fine anni 90.
Di squadre e giocatori ne ha serviti. E quello che ha sempre fatto la differenza è che lui ad ogni richiesta non diceva mai di no. Pensate che quando Pantaleo Corvino faceva il direttore sportivo a Bologna, gli era talmente affezionato che Al Campione ci andava anche a fare colazione. Ivo gli apriva apposta le serrande al mattino, solo per lui.
Negli ultimi anni anche Joey Saputo se ne era innamorato. Una volta gli disse che voleva portargli le sue mozzarelle dal Canada, ma Ivo con grande classe gli disse che non ce n’era bisogno, che in Italia i formaggi “li abbiamo a portata di mano”.
La maggior parte delle operazioni di mercato legate al Bologna si sono svolte da lui. E non solo di calcio, ma anche di basket, che sotto le Due Torri qualcosina conta. Sasha Danilovic veniva dalla Serbia solo per mangiare da Ivo, e tra i suoi tavoli è nata l’impossibile amicizia con il rivale di sempre Carlton Myers.
Se mangiavi da lui la cena poteva finire in due modi: o con una stretta di mano o con un “ci riaggiorniamo”. La cosa certa però è che si chiudeva con i suoi biscottini e con la tenerina con il mascarpone. Emblema della buona gastronomia bolognese, icona della ristorazione italiana. Dado mancherà a tutto il calcio e non solo.
A cura di Alessio De Giuseppe