“Sono ottimista, credo che al Mondiale andremo comunque. Può darsi da subito. Ma ricordiamoci che il coraggio vale sempre più della paura”. Coraggio e determinazione: eccola la ricetta ‘perfetta’ di Arrigo Sacchi. Intervenuto ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, l’ex allenatore (tra le altre) del Milan si è dilungato sulla partita di questa sera contro la Spagna: “Storicamente abbiamo una cultura corporativa e con le grandi ci esaltiamo. La Spagna soffrirà molto, noi facciamo faticare tutti, siamo il pugile che nessuno vuole sul ring. E spero che Ventura dia all’Italia uno stile come quello dato al Bari. Come possiamo definire il calcio italiano? Noi non abbiamo mai definito il calcio. Lo pratichiamo come 2000 anni fa, in stadi simili a quelli degli antichi romani dove, non a caso, si urla “devi morire”. Abbiamo sviluppato agonismo e determinazione feroci che hanno compensato storicamente le nostre lacune. Altrove vincere senza merito non è vincere. La Spagna persegue sempre la perfezione: che essendo irraggiungibile obbliga a didattica e miglioramento continui”.
Eppure, fino a qualche anno fa eravamo noi la Nazionale da battere: “Perché c’era poca differenza e il nostro carattere prevaleva. Loro erano sulla strada giusta, ma inseguivano lo spettacolo individuale. Il salto di qualità dopo che il mio Milan ha dato una lezione totale al Real Madrid: quel giorno hanno capito che il calcio non si interpreta individualmente”. Con il tempo, ovvio. E imparando a nascondere i limiti difensivi: “A poco a poco sono diventati la Spagna. La tecnica l’avevano, hanno imparato il pressing occultando i limiti difensivi. E comunque: rischiano di più. Da noi chi avrebbe fatto giocare Carvajal di 1,70 contro Mandzukic come a Cardiff? Ma per chi pensa che sia uno sport di squadra non è un problema”.
Della scelta del modulo, Sacchi parla così: “Il metodo migliore è quello che una squadra ha interiorizzato e interpreta in automatico. Ma oggi c’è meno tempo e non esistono più blocchi cui affidarsi, causa stranieri. Se cambi sistema sempre, finisci col puntare sulle individualità. Ventura sta facendo un ottimo lavoro in una situazione complicata. Con quello che ha. Se la nostra caratteristica è difesa, coperti e contropiede, è normale che vi ricorra. Con una tattica prudente avrà il sostegno di tutti, pur sapendo che se perde saranno guai”. Alla fine si darà spazio al 4-2-4, già fatto vedere da Ventura nel ‘suo Bari’: “Ho sempre seguito Ventura, mi entusiasmava il suo Bari: un 4-2-4 che diventava 4-4-2, perché il calcio è movimento, con giocatori normali. Eppure era spettacolare. È bello quando un tecnico cerca uno stile come in Spagna: lo fa Sarri, ci hanno provato Sousa a Firenze, Di Francesco col Sassuolo, Giampaolo alla Samp. Altri si stanno avvicinando. Lo fa a modo suo Gasperini, cercando superiorità con un pressing spesso ultra-offensivo. Cambiare non significa migliorare, ma per migliorare devi cambiare”.
Vietato partire sconfitti. Per Sacchi, il calcio italiano sta crescendo: “Noi siamo strani: abbiamo vinto 2 Mondiali senza mai pensare di essere superiori. Come diceva Churchill, giochiamo le partite come fossero guerre e perdiamo le guerre come fossero partite. Però stiamo crescendo. Ai miei tempi la Cremonese veniva a San Siro e si chiudeva. Invece il Sassuolo di Di Francesco e l’Empoli di Sarri avevano possesso palla. Il calcio si gioca con la mente più che con i piedi. Il Napoli fa cose contro la storia”. Ovvero? “Va a Nizza dopo il 2-0 dell’andata e attacca 90’: pensi se fosse caduto in contropiede cosa avrebbero detto! Ma ha osato. Ha alzato il livello culturale: oggi a Napoli applaudono il 3° posto, stanno con le grandi con un terzo del bilancio. Sarri sta dando uno stile a un calcio, quello italiano, che non ha stile riconoscibile”.
Chiosa finale dedicata a Lorenzo Insigne. Tra complimenti e… una strigliata d’orecchie: “Il Barcellona non mi sembra all’altezza del Real: perso Neymar, Insigne sarebbe stato perfetto. Il più grande talento italiano degli ultimi 10 anni, ha intuizioni geniali. Deve solo evitare di fare il “furbetto” ogni tanto: quando non ha voglia di correre. Quando Mertens e Hamsik bloccano i centrocampisti che hanno sbocco solo nel terzino destro e lui guarda indietro, fa chiusure preventive, invece di tentare di portar via il pallone. È un peccato, perché tatticamente è proprio bravo”.