‘Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Toro non è morto: è soltanto in trasferta’. Basta una frase, spesso, per rievocare pensieri e ricordi. Sensazioni soavi, uniche. D’altronde, quel prezioso stato dell’essere chiamato amore implica anche l’amare i ricordi, il passato. Che, a prescindere dalla nostra volontà, è e sarà sempre parte di noi: bello o brutto, cattivo o buono. Moreno Longo e il Torino, storia di un amore ventennale. Storia di una simbiosi unica, quasi totalizzante. Sembravano una cosa sola: l’uno che si rispecchiava in toto nei valori dell’altro. Umiltà, spirito di sacrificio, dedizione, voglia –anzi necessità – di non mollare mai. Di avere la propria maglia sempre più sudata e sporca di quella dell’avversario. Lo impone il cuore Toro, lo impone la storia.
Viaggiare tra i ricordi è tanto bello quanto difficile. Perché certe sensazioni, certe emozioni per la loro unicità, per la loro carica emotiva sono davvero difficili da spiegare. Ragazzo del Fila, Longo. Cresciuto nel Fila, con quella maglia granata sulle spalle più o meno da sempre. Eterna. Come il suo amore per il colore granata. Racconta, anzi scrive. Una lettera d’amore, non di commiato. Perché se c’è amore e passione non potrà mai esserci un addio: “Devo tutto al Torino. Tutto. Lo spirito Toro pervade il mio dna. Il settore giovanile, l’esordio in Serie A, le vittorie di campionato e supercoppa Primavera da allenatore: momenti così belli che è davvero difficile trovare le giuste parole per raccontare. Abbiamo vinto tutti: la squadra e i tifosi erano una cosa sola, un unicum incredibile. Io da buon figlio del Fila ho cercato soltanto di trasmettere a quei ragazzi il senso d’appartenenza, di unione, di umiltà che questa maglia ti trasmette”. Racconta, con le parole giuste. Semplici e posate, come lui. Non serve chissà quale sillogismo per descrivere una squadra, un luogo – il Fila – dove addirittura il football poteva anche passare in secondo piano, in nome di un senso di aggregazione e di uno spirito d’appartenenza incredibile. Il calcio è solo un gioco, davvero? Perché spesso i luoghi comuni sovrastano – erroneamente – la realtà.
“Il Toro sono tutte quelle persone, quegli Uomini che prima di tutto ti insegnavano il rispetto e la realtà. Ti davano lezioni di vita, poi di calcio. Accomunati tutti da un’unica passione e da un’unica storia. Il Quartiere del Fila, quel luogo dove tutte le differenze sociali si abbattevano e il Toro vinceva sempre e comunque”. Uomini, poi calciatori. Educatori, poi allenatori. Descrive un locus amoenus, Moreno Longo. Per lui, d’altronde, è e sarà sempre così: “E’ stato il mio primo amore. Ho avuto uno zio, Vincenzo Longo che ha giocato fino in Primavera. Da lì mi sono innamorato e quella maglia – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – me la sentirò sempre addosso”. Ultime due ‘tappe’, in questo viaggio davvero speciale… “Vado molto spesso a Superga con i miei figli, non solo il 4 maggio. E’ un luogo che fa molto riflettere e mai come oggi, in questo mondo frenetico, c’è estrema necessità, ogni tanto, di fermarsi a pensare. Il Grande Toro non si può descrivere, ma soltanto ricordare e amare. Insegna, parla. Un esempio, un vessillo per ogni ragazzo che ambisce a diventare calciatore. Ci tengo, infine, a dedicare un pensiero speciale a don Aldo, il cappellano del Toro, scomparso qualche anno fa. Per me è stata una guida, un confidente, per qualsiasi cosa sapevo che avrei potuto contare su di lui. Ogni domenica mattina oppure il sabato sera, prima da giocatore e poi da allenatore andavo a Messa da lui. E’ una persona così unica e così importante che a mio avviso non è mai andata via, è sempre qui tra noi”.
Poi il presente, la Pro Vercelli. Quasi un anno. Nuova avventura, in un percorso tortuoso, arido che, però, ha portato Longo in dieci anni dall’Eccellenza alla Serie B. Come? Non ci sono segreti, c’è solo tanto, tanto lavoro. “Io credo nel lavoro duro, non ho mai cercato l’aiuto di nessuno. Vengo da una famiglia di lavoratori”. Ecco, l’importanza di trasmettere valori sani, autentici. Di dare l’esempio: ai propri figli, ai più giovani. Perché non serve chissà quale titolo in pedagogia per capire che un figlio segue quelle che sono le proprie guide, le emula, cresce nel e con il loro esempio.
Lavoro e onestà, Moreno Longo. E ora, finalmente, un momento di soddisfazione fatto da quattro risultati utili consecutivi… “Avevo voglia di rimettermi in gioco, di provare una nuova esperienza nel mondo degli adulti. Ora siamo in un periodo positivo, ma come dico sempre ai miei ragazzi: piedi ben saldi a terra! La Serie B non ti perdona e appena pensi di essere fuori dalla tempesta, sprofondi”. Longo, Vives, Bianchi... Uno spirito Toro itinerante: ““Hanno trasmesso qualità soprattutto umane in uno spogliatoio eccezionale, di bravissimi ragazzi. Con Giuseppe è nata questa idea quasi per gioco. Avevo saputo tramite un amico della sua voglia di rimettersi in gioco visto che non stava giocando molto e così siamo riusciti a prenderlo. Giuseppe e Rolando sono due esempi. Come persone e come calciatori”. L'esemplarità di fare cose semplici e oneste. Con il sudore della propria fronte, con la fatica delle proprie mani. Sporcarsi la faccia e lavorare duro. Senza troppa retorica o giri di parole. Da lavoratore a lavoratore, non è difficile descrivere Moreno Longo.